Nel brano dedicato a Muhal Richard Abrams, Clear Monolith, si ascolta all’inizio un episodio puntillista più cageano (tipo Etudes Australes) che weberniano. Che bella questa rivitalizzazione dell’avanguardia attraverso la colloquialità, che è fondativa del jazz insieme alla ricerca. Niente orpelli, niente scalette decorative, quasi sempre uggiose. Invece ci sono arpeggi graziosi e scalette funzionali/riflessive. Nonchalance, leggerezza, maestria esecutiva. Non manca la vera improvvisazione nel solco del jazz moderno, da Hancock a Tristano. Non c’è particolare originalità dei fraseggi ma cura della progettazione di un dialogo tra due strumenti identici. Si potrebbe facilmente immaginarle come rivali se non nemiche. Invece ecco le star del pianismo jazz contemporaneo, Vijay Iyer e Craig Taborn, formare un duo e dare concerti in giro per l’Europa.

UNO DI QUESTI concerti, il 12 marzo 2018 all’Accademia di Musica Franz Liszt di Budapest, è ora in cd pubblicato dalla Ecm col titolo The Transitory Poems. Poemi «che passano e vanno via», poemi «effimeri». Eppure sembra di avvertire una solidità di impianto e di realizzazione in questa musica. Un impegno serissimo a trovare la convergenza tra il ‘900 musicale «eurocolto» e la storia recente del jazz. Luminous Brew è curioso come omaggio a Cecil Taylor. Niente parossismo sperimentale, niente percussivismo sulle tastiere. Del resto i due non puntano sulla «somiglianza», che casomai ci sarebbe qui con l’ultimo Taylor post-post-romantico. No, puntano su un idioma per duo di pianoforti – un organico con una lunga storia, da Mozart a Schubert a Bartók – che abbia una connotazione propria. Nel caso di questo brano la connotazione è molto ‘900 europeo reinventato. Col nume Bartók ben presente e non solo perché ci troviamo a Budapest. E poi non ci ricordiamo quanto lo stesso Cecil Taylor tenesse conto delle esperienze sonore bartokiane?

TRA GLI OTTO brani dell’album gli altri due con dedica a grandi artisti recentemente scomparsi sono Meshwork/Libation/When Kabuya Dances per Geri Allen (un’altra pianista…) e Sensorium per Jack Whitten, pittore e scultore espressionista astratto. Si può trovare molto free in queste due opere ma in definitiva occorre dire che vi prevale, come in tutto l’album, un mirabile ‘900 colto spregiudicato, scorrevole, acceso, dinamico, spesso «barbarico» alla Bartók, liberamente divagante. E suonato con inimitabile tocco jazz.