«Amo la vita e la vita mi ama perché mi offre sempre qualcosa», diceva sorridendo Lidia Menapace conversando con un gruppo di amici durante i festeggiamenti di uno dei suoi recenti compleanni. In queste ore Lidia è ricoverata in gravissime condizioni all’ospedale di Bolzano, colpita dal Covid.

E proprio mentre combatte la sua estrema battaglia, le sue parole d’amore verso la vita rispecchiano appieno la figura di questa giovane ragazza del 1924, raggiunta in queste ore tristi dall’affetto di chi l’ha conosciuta come compagna di strada nel corso del suo incessante impegno politico, sociale e civile.

A cominciare dalla lotta partigiana, che ne segnerà l’irriducibile pacifismo, fino a costarle la presidenza della Commissione difesa del Senato. Proseguendo con la rottura, le dimissioni dagli organismi dirigenti e l’uscita dalla Democrazia cristiana nel ’68.

L’anno dopo segna il felice incontro con il gruppo di eretici comunisti della rivista Il Manifesto e poi di via Tomacelli, un viaggio comune proseguito negli anni con l’esperienza del Pdup, e poi la scelta di Rifondazione comunista.

Una donna minuta, ironica per vocazione e anticonformista nel profondo, nella vita pubblica e in quella privata, nelle idee e nello stile di vita. Una femminista che amava il movimento delle donne, cocciutamente intransigente nell’uso del linguaggio, capace di spiegare con semplicità e grande cultura quanto danno potesse fare l’uso sbagliato delle parole, specialmente nelle questioni di genere.

Tutto il collettivo del manifesto condivide questo difficile momento della cara Lidia, con le amiche e gli amici, le compagne e i compagni che le sono vicini.