«La città in vendita, la città mercato, la città solo per i consumatori, l’estrazione di valore attraverso le concessioni»: è il processo che stanno attraversando i centri urbani e che Tomaso Montanari descrive nella prefazione al libro Privati di Napoli. La città contesa tra beni comuni e privatizzazioni di Alessandra Caputi e Anna Fava (Castelvecchi, pp.160, euro, 17,50).

LE AUTRICI METTONO sotto la lente d’ingrandimento i quartieri partenopei e, cominciando dal centro storico, abbracciano l’intero perimetro urbano. Un Risiko in cui si fronteggiano le istanze sociali, la difesa del patrimonio ambientale e culturale da parte di attivisti e realtà di base contro lo sfruttamento dei beni comuni da parte degli attori economici, siano essi legali o illegali. Il comune, in questa partita, non è spettatore ma, attraverso differenti amministrazioni, ha giocato a volte a favore dei beni comuni, più spesso ha agevolato l’estrazione di valore e la disneyficazione della città, svenduta al turismo di massa.

LA LEVA POTENTE per spingere i beni pubblici sul mercato sono stati i tagli lineari ai comuni da parte del governo: le amministrazioni si sono indebitate e, per rientrare dal debito, hanno subito condizioni di mercato spesso vessatorie. Lo stato e i comuni hanno accettato questo piano di confronto come fossero dei privati, il patrimonio immobiliare lo strumento per fare cassa. Non più amministrazioni impegnate nella conservazione del bene e la sua trasmissione ma attori impegnati nella «valorizzazione», cioè la svendita ai privati o l’utilizzo commerciale. Così, scrivono le autrici, «Il binomio «cultura-turismo», cioè «cultura-economia», ha soppiantato quello «cultura-cittadinanza», in un clima di accondiscendenza acritica».

IL COMUNE nel 2022 ha firmato con il governo il Patto per Napoli e, di conseguenza, ha sottoscritto «una lettera di intenti con Invimit per un piano di valorizzazione ed efficientamento del patrimonio comunale che prevede la creazione di un Fondo di investimento immobiliare a cui conferire 30mila immobili». Si poteva fermare tutto questo? Nel 2018 la Consulta di audit sulle risorse e sul debito della città ha analizzato i conti e offerto soluzioni alternative per ridurre il buco di bilancio, a partire dalla contestazione dei «debiti ingiusti» e degli interessi vessatori sul debito, analisi supportate anche da sentenze successive della Corte di cassazione. Ma non è servito.

«Un’ideololgia estrattiva si è impossessata dell’Italia – scrivono le autrici – secondo cui il pubblico interesse sarebbe garantito solo mercificando o alienando i beni. Secondo questa concezione, infatti, la finalità dei beni culturali, e del patrimonio tutto, non è quella di educare e costruire uguaglianza e democrazia sostanziali, ma di fare cassa, intrattenendo, nella migliore delle ipotesi, un pubblico pagante, nella peggiore finendo all’asta».

LUNGO QUEST’ASSE ideologico e politico, la costa è stata sottratta all’uso pubblico finendo o in gestione ai costosi lidi privati oppure occupata da siti produttivi che hanno inquinato mare, aria e suolo. Pianura e Chiaiano, da polmoni verdi sono diventate terre di saccheggio per il mattone selvaggio e luogo di sversamento di rifiuti.
«Bonificare e proteggere l’ambiente – la conclusione –, tutelare il patrimonio e renderlo accessibile senza esclusioni di classe, garantire un’abitazione dignitosa e servizi pubblici efficienti sono azioni politiche connesse a un’idea di democrazia ormai in disuso».