Spalmato sul fotogramma immenso del 70mm, il paesaggio dei volti, in primo piano ravvicinato, che si alterna a lunghissimi movimenti di macchina che accompagnano i personaggi, assecondando le verticali interminabili dei boulevard della San Fernando Valley, Licorice Pizza è a happy film – un film felice. Spensierato nel ritmo, nell’intimità affettiva dello sguardo sui personaggi, nella familiarità indistinta dei luoghi e nella sua tensione estetica verso il cinema degli anni settanta. È anche, in un certo senso, un home movie – girato com’è nei quartieri dove il regista vive ed è cresciuto, e che hanno gia fatto teatro a molti dei suoi film, con due giovani non attori che sono anche suoi amici. Trattandosi di un home movie di Paul Thomas Anderson, non può che avere in sé anche qualcosa di monumentale.

NON È LA DIMENSIONE multi-narrativamente kolossal, di Boogie Nights o Magnolia, l’ambizione epica di There Will Be Blood (Il petroliere) o The Master o l’estasi nostalgico/ lisergica di Inherent Vice (Vizio di forma). Sicuramente è all’antitesi della qualità ossessiva, controllata, di Phantom Thread (Il filo snascosto). Il lavoro di «PTA» a cui forse Licorice Pizza rimanda di più, nella sua libertà e «naturalezza», è il suo primo lungometraggio, Sydney- Hard Eight -frullato insieme a un film di John Hughes, e con un tocco dell’amato Altman, che include una lunga e letterale citazione di Nashville. La premessa è quella di un teen movie – la schermaglia di amicizia/amore tra due ragazzi. Il fatto che uno dei due non sia un teenager, ma una venticinquenne, aggiunge un elemento di screwball. Al critico del «New Yorker» Anthony Lane, lo sbalzo generazionale, e il tono, hanno fatto venire in mente una versione capovolta di Breezy, il primo film di Clint Eastwood regista – love story magicamente inefferrabile tra un’autostoppista diciassettenne e un amareggiato divorziato di mezza età. Siamo nel 1973. Lui è Gary Valentine (interpretato da Cooper Hoffman, figlio di Philip Seymour Hoffman, uno degli attori talismano di Anderson); ha quindici anni ed è un aspirante attore che non si fa mettere in crisi da una banale costellazione di brufoli sul volto o da qualche chilo in più -e il cui instancabile spirito imprenditoriale fa parte del carisma.

LEI È Alana Kane (Alana Haim, sorella minore nella band HAIM, per cui Anderson ha girato numerosi video musicali), assistente di un fotografo e annoiata/curiosa abbastanza da farsi trasportare suo malgrado nelle avventure di Gary, che includono un pionieristico e fiorente business di materassi ad acqua (poi affossato dalla crisi del petrolio annunciata da Nixon in tv) e una sala giochi per flipper, tornati legali grazie alla visione di un politico locale lungimirante (Benny Safdie, nei panni di Joel Wachs -realmente esistito e un campione dei diritti gay). Casto, laddove negli altri film di Anderson ambientati nella Valley (ma non solo) il sesso aveva un ruolo importante, Licorice Pizza è un passo a due in costante movimento, al punto sfiorare il musical (su canzoni di Bowie, Nina Simone, Paul McCartney, Sonny & Cher, Suzi Quatro… – mentre le musiche originali sono, come al solito, di Johnny Greenwood).

ALANA E GARY passano infatti una buona parte del film in corsa, un po’ uno verso l’altro, un po’ in direzioni completamente opposte. Tra i detour narrativi, un incontro delirante con il produttore Jon Peters (Bradley Cooper, giacca frangiata e aderentissimi pantaloni bianchi), allora fidanzato di Barbra Streisand; con un regista sopra le righe (Tom Waits) e un attore piacione ispirato a William Holden (Sean Penn, che si diverte molto). Ma la scena più bella – quella in cui Alana (gli) toglie veramente il fiato- è una marcia indietro in discesa, a bordo di un camion senza benzina, che sembra uscita da un capolavoro comico di Mack Sennett.

LA TRACCIA del cinema – come una lieve euforia (filigranata nel fotogramma hollywoodiano dal muto, ai western di serie B, ad Aldrich, Lynch, Tarantino…) – ha un ruolo minimo nella storia, ma non è mai troppo lontana, parte com’è dell’aria e del Dna, della città, anche negli sterminati sobborghi aldilà delle colline e della mitica insegna. Ad accentuare la dimensione famigliare (oltre al credit dietro alla macchina da presa di PTA) Este e Danielle Haim, interpretano le sorelle di Alana e i loro genitori nella realtà sono i genitori nel film. La splendida attrice comica Maya Rudolph, che è anche la moglie di Paul Thomas Anderson, ha una scena nei panni di un direttore di casting. Fedele alla sua vocazione intima a monumentale allo stesso tempo, Paul Thomas Anderson ha disegnato la distribuzione americana del film «a singhiozzo». Oggi lo si puo’ vedere solo in 70 mm in poche sale di New York e Los Angeles. Arriva su tutti gli schermi Usa il giorno di Natale, in Italia il 3 febbraio.