«Un remake del reality il Collegio». La battuta è di un genitore e riassume bene il clima che si è respirato in questi giorni al Virgilio di Roma, dove sono cominciate le «audizioni», come le chiama la dirigenza del liceo, degli studenti che avevano occupato lo scorso dicembre. «Più che audizioni, sembrano interrogatori», commenta una madre mentre descrive la scena che si è trovata davanti accompagnando la figlia minorenne davanti alla commissione disciplinare: «15 persone sedute intorno a un tavolo a ferro di cavallo con al centro il banchetto per lo studente che sembrava un imputato». «È stata un’immagine che mi ha dato fastidio», ammette anche G., padre di uno studente.

Ai ragazzi venivano rivolte tre domande, uguali per tutti: «C’eri la notte in cui è stata occupata la scuola? Hai fatto o hai visto fare danni? Hai partecipato?». A quest’ultima tutti hanno risposto sì, essendosi autodenunciati. Ma è stata la prima domanda ad allarmare i genitori. «È insidiosa – spiega A, madre di un ragazzo -, l’occupazione può essere un reato e non è chiaro che fine faranno queste deposizioni, quale autorità giudiziaria ha questa commissione? Perché, se di questo si tratta, avrebbero dovuto chiedere di presentarci con un avvocato». I colloqui sono stati condotti attraverso «un linguaggio da tribunale, in avvocatese», raccontano i genitori. Dice L., che ha accompagnato sua figlia di 16 anni: «Il tono non era minaccioso ma sembrava che le chiedessero di confessare qualcosa». La donna, che è stata a sua volta alunna del Virgilio, racconta: «Così allestita non sembrava la mia scuola ma una strana aula di tribunale, con una impostazione un po’ teatrale».

Nessuno dei genitori intende contestare le sanzioni, piuttosto «il modo in cui sono state condotte, lo stile poliziesco che la dice lunga sul tempo che stiamo vivendo». Inoltre vogliono capire in che modo sono stati valutati i presunti danni: «Sulla porta della preside c’è uno sfregio ma loro vogliono 3.800 euro per l’intera sostituzione mentre nei bagni degli studenti le porte mancano proprio», spiega un padre. Ma la domanda principale che rivolgono alla preside è, come racconta ancora A.: «C’è un progetto didattico oltre alla paura? Cosa vogliono insegnare oltre al fatto che esprimere le proprie idee sulla società non va bene perché si sarà puniti da un autorità che usa la giustizia in modo arbitrario?».

Parla di «pseudo tribunale aberrante» il padre di M.: «Qualunque punizione avessero voluto infliggere non c’era bisogno della pantomima, questa modalità non ha fatto altro che umiliare i ragazzi e dividerli fra loro. Un processo sommario in cui gli accusatori sono anche i giudici». «Queste occupazioni sono avvenute in un periodo particolare con due guerre e il femminicidio Cecchettin – commenta ancora G. – si poteva aprire un dialogo invece si è scelto di reprimere il pensiero critico, di punire chi ha alzato la testa».