«Sono diciotto anni che faccio il sindacalista e devo dire che una cosa del genere non l’avevo ancora vista». Parola di Umberto Franciosi, segretario della Flai-Cgil dell’Emilia-Romagna, da anni impegnato nel denunciare il sistema di appalti e subappalti che inquina l’industria della lavorazione delle carni e comprime al massimo salari e diritti dei lavoratori. La novità, che ha fatto sobbalzare più di un sindacalista nel modenese e non solo, tecnicamente è stata già chiamata da alcuni «licenziamento virtuale sub condicione». In sostanza per i diretti interessati è un vero e proprio licenziamento anticipato, ancora prima di essere eventualmente riassunti.

La vicenda riguarda i 70 operai-facchini licenziati nel 2017 – dopo una durissima lotta sindacale guidata dalla Flai-Cgil – dalle coop che operavano nel magazzino della Castelfrigo, azienda di lavorazione della carne di Castelnuovo Rangone, nel modenese. Dopo la cacciata dei 70 la palla è passata agli avvocati e ora c’è una causa ancora aperta, con la prossima udienza il 20 giugno.

Ovviamente la richiesta è quella della riassunzione, più tutti gli arretrati. Ma ecco la svolta: l’attività nel frattempo è passata nelle mani di una società controllata dal gigante della carne Cremonini, che se l’è aggiudicata per 7 milioni di euro. Mentre la vecchia proprietà, rappresentata ora dalla curatela fallimentare, annuncia per quei facchini che già una prima volta hanno perso il lavoro un secondo licenziamento.

Si tratta di un licenziamento collettivo causa fine della produzione. Un provvedimento virtuale ovviamente, perché quei lavoratori nei magazzini Castelfrigo non ci entrano più da oltre due anni mentre ad oggi la produzione continua in parte sotto la nuova proprietà. «Operato e procedura corretta», dichiara la curatela. Un artificio legale, un cavillo, lo definisce invece il sindacato. Un modo, ragionano alla Flai, per tutelare tutti salvo ovviamente gli ex operai.

«Un’assurdità che impugneremo come abbiamo fatto con tutto il resto», attacca a testa bassa Piergiovanni Alleva, giuslavorista che sta seguendo la causa dei facchini e che riassume la loro storia così: «Sono persone che hanno alzato la testa e si sono ribellate allo sfruttamento. Tutte straniere, e sono state tutte buttate fuori dal loro posto di lavoro. A questo punto mi rivolgo direttamente alla nuova proprietà, e cioè al gruppo Cremonini: deve essere davvero questo l’epilogo di questa storia? E cosa dice la Regione Emilia-Romagna?”

Nel frattempo però le carte sono state scritte e così, se in futuro il Tribunale di Modena riconoscerà le ragioni dei 70 che chiedono la riassunzione, qualcuno potrà provare a sostenere che in realtà sono stati già licenziati. La procedura per arrivare al licenziamento bis si è conclusa martedì sera, sotto la supervisione dell’Agenzia Regionale per il Lavoro dell’Emilia-Romagna in videoconferenza con la curatela fallimentare della «Fallimento Castelfrigo srl» e le organizzazioni sindacali territoriali di Flai-Cgil e Uila-Uil.

«Si tratta di un espediente giuridico scorretto, artificioso e ingiusto, tanto più se elaborato da un organo di garanzia come una curatela fallimentare», spiegano Marco Bottura e Antonio Puzzello della Flai-Cgil di Modena. Che descrivono quel che è successo in questi anni alla Castelfrigo come «un sistema che ha l’obiettivo di scaricare le spinte concorrenziali e competitive sull’anello più debole, cioè i lavoratori, e di sollevare le società committenti dalle responsabilità verso quegli stessi lavoratori». È l’opinione del sindacato, ma non solo.

In un verbale di fine 2017 siglato quando la storia della Castelfrigo stava diventando un caso nazionale, si diceva che «la vicenda ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica quanto sta accadendo in alcune imprese del comparto delle carni modenese e in generale in diversi comparti del territorio italiano. Un sistema che fonda le proprie radici sulla evasione fiscale e contributiva e sulla mancata applicazione dei contratti di riferimento attraverso le cosiddette coop spurie e la costituzione di srl ad hoc». Dichiarazione sottoscritte da Cgil, Cisl, Uil, Regione Emilia-Romagna, Confindustria e Alleanza delle cooperative.