Il ritiro del blocco sui licenziamenti in Italia dal primo luglio va nella direzione auspicata dalla Commissione Europea e fa parte delle politiche che «incoraggiamo a livello europeo di un ritiro selettivo graduale delle misure di sostegno». Lo ha detto ieri il commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni secondo il quale la decisione del governo Draghi fa parte di un «approccio di bilancio più differenziato» che in Italia prevede la pluriannunciata riforma degli ammortizzatori che estenderà ai percettori della Naspi, ai cassintegrati e ai disoccupati raggiunti da un sussidio le politiche attive del lavoro al momento previste solo per la parte ritenuta abile al lavoro tra i percettori del cosiddetto «reddito di cittadinanza».

PER IL MOMENTO i licenziamenti sono partiti senza questa «riforma», la cui ambizione è rilanciare un sistema neoliberale di Workfare che associa un beneficio monetario diretto non a un diritto fondamentale della persona ma alla sua disponibilità di rispondere all’ingiunzione di partecipare obbligatoriamente a una formazione continua che dovrebbe essere fornita da un sistema attualmente inesistente.

A BRUXELLES non hanno, ancora, fatto le stime su quanti saranno i licenziati in Italia. Nelle previsioni economiche «non abbiamo fatto valutazioni specifiche» ha detto ieri Gentiloni dopo avere presentato le stime macroeconomiche estive insieme al vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis. Una stima è stata fornita ieri dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico secondo il quale i licenziamenti non saranno superiori «a 30 mila» dopo la fine del blocco.”Si ipotizzavano all’inizio 300.000-400.000 licenziamenti – ha aggiunto- Ora non lo possiamo dire. C’è una tendenza al miglioramento molto forte che non fa supporre carenza di domanda di lavoro. Per l’Ufficio parlamentare di bilancio le cessazioni dovrebbero essere tra le 30 mila e le 70 mila». Pochi o tanti, comunque ci saranno i licenziamenti. Anzi, sono già iniziati. L’incertezza circonda le conseguenze più gravi provocate dal cosiddetto «ritiro selettivo» del parziale e insufficiente Welfare dell’emergenza creato nei mesi più duri della pandemia. Ciò sta aumentando l’ansia di annunciare nuove svolte da parte di tutte le istituzioni, a livello nazionale e sovranazionale, che presentano il prevedibile rimbalzo del prodotto interno lordo (Pil) dopo la catastrofe provocata dal congelamento dell’economia come una specie di miracolo.

DOPO il ministro dell’economia Franco, e il governatore della Banca d’Italia Visco, ieri anche Gentiloni ha detto che il Pil italiano sarà più alta, cioè il 5% nel 2021, dopo una perdita dell’8,9% nel 2020. Senza averepaura di apparire enfatico Gentiloni ha parlato di un “boom” per una perdita netta pari ora a quasi quattro punti percentuali. Il «boom», di questa o altra entità, non permetterà comunque all’economia italiana di recuperare prima di un altro anno, cioè nel 2022, il livello che aveva nel 2019. A differenza di quanto sta accadendo in altri paesi dove il recupero avverrà già nel 2021. Insomma, poteva andare peggio. Per consolarsi, parlano di «boom».

QUESTO GRANDE entusiasmo è prodotto dall’impressione per cui staremmo tornando al mondo di prima, cioè alla stagnazione dello zero virgola positivo o negativo. A quel punto, forse, sarà chiaro che l’attuale crescita non solo produrrà licenziamenti, ma soprattutto moltiplicherà il precariato.

IL PROBLEMA è più che noto a Gentiloni. Ier i ha riacceso il cero del «Piano di ripresa e resilienza» che avrebbe ricevuto il via libera dagli «sherpa» dei ministri dell’economia che stanno preparando la riunione dell’Ecofin prevista il 13 luglio. «Non possiamo accontentarci» di un rimbalzo «che ci riporti alla crescita molto striminzita degli ultimi anni – ha detto -Dobbiamo utilizzare investimenti e riforme del Pnrr per avere una crescita stabile, duratura e sostenibile». È il vasto programma di Draghi che ha auspicato una crescita meno «striminzita» in un paese inchiodato a i vent’anni fa.