La Galleria Alberto Peola di Torino, fino al 31 maggio, propone una selezione da Ex libris (2010-2012), il progetto che l’artista palestinese Emily Jacir ha presentato nell’ultima edizione di Documenta, Kassel. L’opera è un «memorial» che l’autrice ha dedicato ai circa trentamila libri che fino al 1948 erano appartenuti a privati, biblioteche, istituzioni palestinesi. Seimila di questi sono attualmente raccolti nella Jewish National and University Library a Gerusalemme, catalogati con l’etichetta «A.P.» (Abandoned Property). Nel tempo, il lavoro di Jacir ha finito per costituire un monumento disseminato, che rende omaggio ai libri orfani, leggendo fra le pagine le «ombre» delle persone a cui erano appartenuti. A volte, l’epifania sopraggiunge attraverso piccoli segni, anche insignificanti macchie, che però testimoniano un vissuto domestico ed esistenziale che non è più rintracciabile. L’artista, infatti, racconta di aver mutato atteggiamento rispetto all’idea principale che l’aveva guidata in questa impresa. Jacir fotografava i volumi con il suo cellulare Nokia N8, accumulando e raccogliendo immagini. Ma nel corso di ripetute visite alla biblioteca, sono apparse in primo piano le storie personali e i frammenti della quotidianità dei possessori di quei libri senza più casa. «Inizialmente – afferma Jacir – ero concentrata soltanto sulla documentazione delle dediche reperibili sui libri, in particolare i nomi dei proprietari. Ma procedendo nel lavoro, cominciai a essere più interessata alle impronte lasciate tra le pagine… scarabocchi, note a margine, pezzetti di carta. Uscivo dalla biblioteca ricoperta di polvere, me la sentivo nei polmoni e nello stomaco. Ho anche esaminato tutti i libri negli scaffali dell’Oriental Reading Room, alla ricerca di qualche volume che fosse stato inserito nel sistema librario principale, fuori dalla sezione ’A.P.’ Quei libri erano ’oggetti’ scelti, era stato il colonizzatore a compiere una selezione per finalità specifiche. Quali libri erano dunque stati considerati non importanti e non significativi, non meritevoli di essere raccolti e conservati? Quali scartati? Che cosa era accaduto ai libri in lingua inglese, italiana, spagnola, etc? Quali erano riusciti ad evitare la denominazione ’A.P.’ e erano entrati a far parte delle collezioni generali della biblioteca?». La narrazione di una Storia perduta ha preso così il sopravvento rispetto alla «classificazione» dell’oggetto-libro in sé: a prevalere è stata, alla fine, la constatazione che intere generazioni di studiosi israeliani possano essersi formati su quei volumi, assumendo su di loro la responsabilità di una proprietà intelettuale. Ex libris è diventato un progetto «politico», focalizzato su temi come la sottrazione e distruzione dei libri, la loro relazione tra cultura e territorio, la possibilità della loro restituzione: quei volumi «abbandonati» sono sopravvissuti, ma non hanno conosciuto la strada del ritorno. Una storia che si è ripetuta anche a Kassel, stavolta a parti inverse. «Alla biblioteca Murhard – spiega Emily Jacir – ho visto i resti dei libri gravemente danneggiati quando il Fridericianum, che ospitava la biblioteca dei Langravi dell’Assia-Kassel, venne bombardato nel 1941. Secondo il bibliotecario, colpirono il Fridericianum tra i sessanta e ottanta ordigni, ma nessuno centrò la torre. Ho fatto un’approfondita ricerca sulla regione dell’Assia nel periodo in cui faceva parte della zona di occupazione americana. In particolare mi sono concentrata sul lavoro svolto dagli addetti al settore «Monumenti, Belle Arti e Archivi» e sui loro sforzi al Deposito archivistico di Offenbach, nominato nel maggio 1946 unico deposito nella zona di occupazione americana per la gestione dei libri e degli archivi depredati. Lì si realizzò un impegnativo progetto di restituzione di libri e documenti ai legittimi proprietari ebrei, come mai si è verificato nella storia».