Sono passati due mesi oggi dal lancio dell’offensiva del generale Haftar sulla capitale della Libia e nello stesso giorno termina anche il mese sacro del Ramadan, ma il feldmaresciallo di Bengasi, nonostante la sua retorica che mischia richiami religiosi e proclami guerreschi, non è riuscito a «riconquistare» la sua «Mecca», Tripoli. La battaglia va avanti com’era partita, confinata nei sobborghi meridionali senza sostanziali progressi né da una parte né dall’altra.

Avanza solo il conto dei morti (607 di cui 40 civili, dati Oms) con scontri particolarmente cruenti negli ultimi giorni soprattutto nell’area di Ein Zara e Wadi Rabie, oltre che lungo l’asse viario di Salah al Din in direzione del vecchio aeroporto non più funzionante. Nel fine settimana ci sono stati in queste zone oltre 50 morti.

Nelle zone centrali della città, ancora non toccate dai combattimenti, la vita dei civili va avanti in modo strano. Domenica voci incontrollate su una interruzione delle forniture di benzina hanno creato il caos, con file di ore alle pompe e traffico impazzito, fin quando la società Brega non ha rassicurato sulla normalità degli approvvigionamenti. In un servizio di Al Jazeera – la tv qatariota è apertamente a favore del governo Serraj – si vedono i giovanissimi di Tripoli nel loro principale svago dopo il tramonto: partecipare ad adrenaliniche gare di auto, tra testa-coda e slittamenti sull’asfalto spolverato di sabbia, stile James Dean in Gioventù Bruciata. «Sì, è pericoloso, ma è un modo per dimenticarci della guerra», spiegava un adolescente all’intervistatore.

Nell’oasi di Al Fuqha, nel distretto di Jufra al centro del Paese, all’alba un nuovo blitz di miliziani dell’Isis a bordo di jeep contro il battaglione 128 dell’Lna, l’autoproclamato «esercito nazionale libico» di Haftar, è andato a vuoto. A Derna in Cirenaica due autobombe piazzate sotto due caserme dell’Lna – per le quali l’Lna accusa le milizie di Tripoli – hanno invece provocato 18 feriti. E un capo dell’Isis è stato arrestato anche dalle forze di Misurata.

Ghassam Salamé, l’inviato speciale Onu sulla Libia, intervistato dal canale “France 24” la scorsa settimana ha spiegato che senza un efficace monitoraggio in Libia sul rispetto dell’embargo Onu sull’importazione di armamenti, con sanzioni comminate dal Consiglio di Sicurezza tanto a chi vende che a chi compra armi, la guerra civile non può che trascinarsi, con il rischio che si creino nuove roccaforti del terrorismo jihadista alle porte dell’Europa.

Negli ultimi giorni sono stati abbattuti due droni – armi di nuova generazione, post embargo – sugli opposti fronti: uno di fabbricazione turca a Gharyam nei raid di Misurata e l’altro «made in Uae», quindi proveniente dagli Emirati arabi uniti, in uso dall’aviazione di Haftar.