A guardare il mappamondo con i Paesi colorati a seconda del grado di libertà di ricerca scientifica, il brivido alla schiena è inevitabile. La nuance arancione acceso accomuna l’Italia solo alla Colombia e al Brasile, mentre il grado più tenue della Turchia, per esempio, attesta che il Paese islamico che molti vorrebbero fuori dall’Europa ci lascia un passo indietro nella classifica generale stilata in base alla mappatura completa di 42 Paesi e parziale di più di 100. Sotto il 35° posto, posizione a cui è ormai relegato il Paese che ha dato i natali a Galileo Galilei e Leonardo Da Vinci, ci sono solo la Croazia, l’Iran, la Tunisia, il Cile, il Marocco, l’Egitto e le Filippine. In cima alla classifica invece ci sono il Belgio, l’Olanda e gli Usa, ma anche la Grecia si assesta al sesto posto, molto prima della Francia (16°) o della Germania (28°). È quanto risulta da uno studio condotto dal giurista e scienziato sociale Andrea Boggio della Bryant University presentato ieri a Roma, nella sala dei Gruppi parlamentari di Montecitorio, durante la prima giornata di lavoro del terzo Congresso mondiale per la libertà di ricerca scientifica organizzato dall’Associazione radicale Luca Coscioni che ha anche finanziato il lancio del «Global index on freedom of research and self-determination».

Sono quattro le aree tematiche strategiche studiate per misurare gli «spazi di libertà nel campo della scienza biomedica e dell’autodeterminazione relativa alla salute»: ricerca con embrioni e cellule staminali, riproduzione assistita, aborto e contraccezione, scelte di fine vita. In progetto però c’è anche il prossimo monitoraggio della libertà di trattamento nell’uso terapeutico dei narcotici e nella terapia del dolore. Non è quindi strettamente necessario essere uno scienziato per intuire che è già tanto se, nell’indice, l’Italia ha totalizzato 83 punti, poco più della metà rispetto ai 163 del Belgio e solo ad una manciata di spiccioli rispetto all’Iran (66 punti) o alla Tunisia (56). Per «scongiurare le trappole teoriche», ha spiegato il professor Boggio, lo studio «fa riferimento a un’idea di libertà descrittiva e misurabile», con una metodologia «perfezionata a lungo e in molti anni» che prende in esame la legislazione del Paese e «l’ambiente nel quale ricercatori, professionisti del settore sanitario e pazienti fanno ricerca, forniscono assistenza e richiedono trattamenti». «L’Italia ha una legislazione avanzata solo sull’aborto – precisa il ricercatore – mentre ci sono Paesi meno sviluppati economicamente che hanno già affrontato certi dibattiti in modo più costruttivo». Se guardiamo all’Europa, aggiunge Boggio, «di fronte ad una comunanza culturale in materia economica e di altre politiche sociali (pensiamo al rigetto della pena di morte), ricerca biomedica e autodeterminazione sembra creare divisioni che forse riflettono più certe manipolazioni politiche e culturali a livello nazionale che non profonde divisioni culturali». Il proibizionismo e i divieti hanno «soltanto generato viaggi della speranza dei pazienti all’estero, come accade per il suicidio assistito in Svizzera».

Per «colmare il divario tra scienza e politica», tema a cui è dedicato questo terzo Congresso mondiale che oggi si sposterà nelle sala della Protomoteca del Campidoglio, si potrebbe introdurre uno «science advisor per il presidente del Consiglio, figura che esiste in molti Paesi», ha suggerito Roberto Bertollini, direttore dell’ufficio europeo dell’Oms. Ma è evidente che il clima antiscientifico che si respira in Italia è anche frutto di una cultura del «sospetto» e di una «raffigurazione stessa dei ricercatori negativa nella percezione comune», secondo l’ex ministro degli Esteri, Emma Bonino, che era tra i relatori di ieri insieme a personalità del calibro di David Nutt, ex consulente del governo britannico sulle droghe, o Ana Virginia Calzada, già presidente costituzionale della Suprema Corte di giustizia del Costa Rica. «L’interazione fra mondo della ricerca e politica dovrebbe essere migliorata – ha proseguito Bonino – perché il metodo scientifico è l’unico argine agli ideologismi e alle illusioni come quelle che abbiamo visto nel caso Stamina».

E un monito arriva anche da Giorgio Napolitano con un messaggio inviato all’Associazione Coscioni: «La complessità del tema – scrive il capo dello Stato – non deve costituire un freno allo sviluppo di ogni utile approfondimento e riflessione da parte dell’intera comunità e in particolare del Parlamento ma piuttosto indurre i vari protagonisti a ricercare e definire soluzioni appropriate e condivise nell’ambito di una corretta applicazione del metodo scientifico». Napolitano è convinto «che dall’impegno, dalla passione e dalla capacita di dialogo su temi cruciali per il benessere di tutti, possa derivare il superamento di contrapposizioni ritenute finora invalicabili».