Era tutto pronto e mancava poco, una settimana, al 31 marzo, ma la bufera Covid-19 già spazzava l’Italia e aveva costretto anche il Libano al lockdown. Così è arrivato lo stop e ai circa 130 siriani in attesa di imbarcarsi alla volta dell’Italia con i corridoi umanitari è stato comunicato di dover aspettare, e si tratta ancora di qualche mese. Partiranno, assicurano i promotori del progetto, Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), Tavola Valdese e Comunità di Sant’Egidio. Una data non c’è ancora, dipenderà dall’evoluzione della crisi sanitaria ed è probabile che si rimandi fino a settembre.

QUESTE 130 PERSONE, in maggioranza famiglie, rientrano nell’ultimo viaggio del secondo protocollo del progetto nato del 2015, che ha portato in Italia dal Libano 1.895 persone, quasi tutti siriani. Per loro l’accoglienza è pronta: si faranno i tamponi prima della partenza e si organizzerà la quarantena all’arrivo, per poi proseguire con tutte le tappe dell’integrazione previste dai corridoi umanitari: corsi d’italiano, casa, scuola, assistenza legale e psicologica, fino all’ottenimento dei documenti (status di rifugiato) e di una prima autonomia, un lavoro o un percorso di studio. Un’attività di accompagnamento dell’inserimento del rifugiato che dura in media un anno, con percentuali di successo molto alte, finanziata dall’8xmille della Chiesa Valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio. In Libano, però, la situazione è deteriorata negli ultimi mesi. Le proteste antigovernative iniziate a ottobre sono riprese, con violenza questa volta, negli ultimi giorni. C’è una terribile crisi economica-finanziaria sfociata nella dichiarazione di bancarotta, aumenti alle stelle dei prezzi dei beni di consumo e poi è arrivato il Covid-19, con il conseguente lockdown che ha colpito i tanti lavoratori della diffusa economia informale del paese, e tra questi molti siriani. Così l’attesa del viaggio nei campi rifugiati o nelle case in affitto, per i 130 siriani si è fatta più dura, alle prese con problemi economici e paura del contagio.

SONO SEMPRE monitorati dagli organizzatori. «Il progetto – spiega Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Fcei – consiste in un lavoro intensissimo sia in Libano sia in Italia, volto a cercare le migliori associazioni tra la persona che arriva e i luoghi di accoglienza (diffusi su tutto il territorio nazionale, ndr), in modo da valorizzare i profili professionali, sociali e culturali dei beneficiari». Usando una metafora economica lo descrive come un «delicato lavoro di collegamento tra domanda e offerta». È un modello, tutto italiano, che non si è fermato neanche durante la quarantena. Sono state attivate modalità on line per le consulenze legali, psicologiche, per i corsi di italiano o di formazione. È stato fatto un lavoro di informazione, in più lingue, sugli aspetti sanitari e legali legati alla pandemia e il contatto, sia con chi è già in Italia sia con chi deve ancora arrivare, è costante. «Siamo pronti alla ripresa dei corridoi, siamo in grado di accogliere in sicurezza, nel rispetto delle disposizioni sanitarie. Ne abbiamo esperienza e lo stiamo facendo» ribadisce Daniela Pompei, responsabile dei servizi per l’integrazione e l’immigrazione della Comunità di Sant’Egidio. «Oltre ai siriani dal Libano abbiamo 80 persone in attesa di partire dall’Etiopia, e lavoriamo ad ampliare la platea sia dei paesi di partenza sia di destinazione». Il rinnovo del terzo protocollo per il Libano, che porterebbe altri mille siriani in Italia e 500 in Francia, è stato sospeso dall’arrivo del Covid-19, ma non c’è ragione di pensare che non si continuerà, non ci sono segnali negativi dai ministeri degli Esteri e dell’Interno, dicono Naso e Pompei. Intanto, si lavora anche a estendere il progetto ad altri paesi dove perdurano emergenze umanitarie, come la Libia.

Un altro obiettivo sono corridoi umanitari europei, che portino al sicuro le vittime di guerre e persecuzioni anche in altri stati dell’Unione. Corridoi umanitari sono attivi anche in Francia, Belgio e Andorra e finora hanno portato oltre 3.000 persone in Europa. «Abbiamo ricevuto segnali di attenzione dall’Europa, che vanno nella direzione di una condivisione delle responsabilità. L’Italia ha bisogno del sostegno di altri paesi» dice Naso, aggiungendo che «sarebbe anche auspicabile che il governo italiano valuti di dare un sostegno al progetto, magari coprendo l’ultimo miglio dell’accompagnamento del rifugiato con progetti tipo Sprar. Questo modello di migrazione così governata è un beneficio per l’Italia».