Mi sembra di sentirli gli esperti di marketing sulla campagna «Il 29 settembre facciamo la rivoluzione»: in termini di strategia e obiettivi di comunicazione, è «Overpromising».

Sul web i critici più severi hanno scomodato il compagno Gramsci chiedendo se fosse il caso di «usare» la parola Rivoluzione per «vendere un giornale». Non so voi, io sono solo un creativo pubblicitario militante, ma è da quando avevo 14 anni che sogno di leggere in prima pagina questo titolo. Ora ne ho 56! E so di non essere il solo.

La rivoluzione (con la «r» minuscola, come il manifesto) non va lasciata ammuffire nell’armadio o al mausoleo. La rivoluzione va scomodata, è futuro presente: non appartiene al passato, ai ricordi nostalgici di quando eravamo giovani ingenui. La rivoluzione non va lasciata russare in soffitta: va risvegliata, in strada, a scuola, sul posto di lavoro e in camera da letto.

La rivoluzione va vissuta, soprattutto praticata. Altrimenti s’annoia. Il manifesto ci sta provando, a modo suo: è un giornale cartaceo e online, le sue armi sono le parole.

E le compagne/i del collettivo – che hanno chiamato me e i miei compagni/copy di strada Ernesto Spinelli e Stefano Maria Palombi per dare una mano – cercano di usarle bene. Le parole. È una rivoluzione culturale, che sta dando i suoi frutti.

Con la campagna «Mi riprendo il manifesto» ci siamo ripresi una bella testata. Purtroppo nel panorama giornalistico siete ancora «i soli di sinistra», ma il cammino iniziato 45 anni fa non si arresta.

E se vi abbiamo spaventato con una copertina «È la fine», sappiate che anche questa nuova grafica «È (solo) l’inizio», di un racconto di cui tu sei il protagonista. «Senza di voi, non si fa nulla».

Perché la rivoluzione è quotidiana e il giorno dopo va rifatta. Sennò invecchia. «All’attacco!».

* Art Director

FB RIVOLUZIONE (Pag.03)