«Il calcio non è più un gioco ma un comparto industriale». «Nei quarti di Champions abbiamo tutte le squadre che dovevano essere lì (la Juve è stata eliminata negli ottavi dal piccolo Porto, ndr)». «L’ambizione delle “piccole” è legittima ma dall’altra parte abbiamo una statistica lunga un secolo». L’improvvida e comica intervista al direttore di famiglia – Maurizio Molinari, ora a Repubblica – di Andrea Agnelli sarà portata nelle scuole di giornalismo e di autolesionismo. Rende bene il contesto in cui è nata la SuperLeague del calcio durata meno della piena occupazione a Pomigliano.

Andrea Agnelli è diventato presidente della Juventus al termine della ricostruzione post calciopoli. Fu John Elkann a prendersi l’ingrata responsabilità di disconoscere l’operato della triade Moggi-Giraudo-Bettega con gli scudetti ottenuti soggiogando il sistema arbitrale e a subire le conseguenze del processo sportivo che graziò la Juventus dalla serie C. A poche settimane dal trionfo a Germania 2006, i campioni del mondo Buffon, Camoranesi e Del Piero calcarono i campacci di provincia della serie B, riscattando l’orgoglio juventino e legittimando la rinascita bianconera.

A QUEL TEMPO Andrea Agnelli era stato mandato a farsi le ossa manageriali con scarsi risultati in Svizzera alla Philip Morris. Il cugino secchione John Elkann decise di accontentare la sua smania di protagonismo togliendo il posto a Cobolli Gigli e ristabilendo la dinastia al comando, ma mantenendolo anche in tutte le attività di famiglia: di Stellantis è direttore non esecutivo e nella cassaforte Exor è consigliere, incarichi entrambi lautamente remunerati.

IL RAGAZZO – NEL 2010 AVEVA 35 anni – sa che è l’occasione della vita e dunque studia e si applica diligentemente. I risultati in Italia non mancano: con nove scudetti consecutivi entra nella storia. Cicca però il vero obiettivo: vincere la Champions, che sfiora in due finali. Le vicende di questi ultimi giorni dimostrano che quello è il suo vero cruccio: un peso insostenibile, non solo finanziariamente.
Vista con gli occhi di oggi, l’espressione con cui riabilita il periodo Moggi reclamando gli scudetti per Calciopoli – la guerra giudiziaria per i «Trentatrè sul campo» – assume un significato beffardo: per entrare nella SuperLeague non sarebbero serviti risultati «sul campo». Solo in Borsa o in diritti tv.

Inciampa nella giustizia anche per la gestione dei biglietti – con la brutta storia del suicidio dell’ultras Bucci, in odor di ’ndrangheta – ma ne esce con l’archiviazione e con una ammenda sportiva, tagliando i rapporti con il tifo organizzato.
In dieci anni ha creato un potere anche mediatico – esempio ne sia l’ex bordocampista della Juventus Federico Ferri diventato direttore di SkySport e ultimo giapponese ad arrendersi al naufragio della SuperLeague – che lo ha portato alla carica di presidente dell’Eca, l’associazione dei club europei da cui ha contrattato con l’ex amico Ceferin della Uefa la nuova formula allargata della Champions che ha disconosciuto proprio sul rettilineo di partenza.

ORA CHE TUTTO È QUANTO MENO congelato, fare come i proprietari inglesi è fuori discussione. Come tradizione di famiglia le scuse non arriveranno mai, a meno di contropartita economica.
Mentre Guardiola e Klopp coraggiosamente si schieravano contro, l’omertà juventina si palesava nell’attuale allenatore (Pirlo), l’ex allenatore e bandiera (Conte) che si son ben visti dal criticare l’abolizione de facto del diritto sportivo – fattore fondativo della cultura europea.

SENZA SCOMODARE «L’OPPIO dei popoli» o l’internazionalismo, sono stati «quattro sbarbatelli delle periferie inglesi» scesi in piazza contro le loro stesse squadre a fermare il giochino dei padroni delle ferriere calcistiche, mentre da noi ci si è limitati agli striscioni.
I debiti da Covid non spiegano tutto. Mentre Florentino Perez sta per comprare Autostrade per l’Italia, la famiglia Agnelli ha appena incassato il super dividendo per la (finta) fusione con Stellantis.

Il picco inesplorato della figuraccia di Agnelli sta nell’aver abiurato all’ingresso dei fondi esteri nella LegaCalcio nostrana – che avrebbe garantito più mutualismo alle 20 squadre – nel giro di qualche giorno, senza motivarlo per mesi, solo perché nel frattempo Florentino Perez lo ha avvertito di aver trovato Jp Morgan e qualche emiro disposti a finanziare la SuperLeague.

Dio o chi per lui non voglia che la Juventus non arrivi nei primi quattro posti in campionato quest’anno a causa della piccola e provinciale Atalanta. L’harakiri dell’ultimo pargolo della famiglia Agnelli sarebbe completo. A difenderlo non rimarrebbe nemmeno Moggi.