Il 30 marzo 2020 Antonio De Pace, iscritto al primo anno di odontoiatria, uccide strangolandola a mani nude la fidanzata Lorena Quaranta, 27 anni, laureanda in medicina. Il delitto avviene nella casa dove vivono insieme da un anno, a Furci Siculo, provincia di Messina. Lui nei primi interrogatori dirà che l’ha fatto perché lei gi aveva attaccato il covid, cosa per altro non vera. Nel processo di primo e secondo grado De Pace è stato condannato all’ergastolo, ma la Cassazione ha rinviato il giudizio «limitatamente all’applicabilità delle attenuanti generiche» perché «I giudici non avrebbero verificato se la specificità del contesto, il periodo Covid e la difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale». Per essere più precisi, secondo la Cassazione «Andava verificato se, data la specificità del contesto, possa, ed in quale misura, ascriversi all’imputato di non avere efficacemente tentato di contrastare lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale».

IN SOSTANZA, si dovrà rifare il processo tenendo conto se e quanto il reo confesso soffrisse per lo stress causato dal lockdown quando ha stretto le mani al collo di Lorena togliendole per sempre la possibilità di laurearsi, specializzarsi in pediatria come avrebbe voluto, lasciarlo, vivere la vita che avrebbe voluto e che amava. Lei è morta, e da lì non si torna indietro. Lui, sembra volerci dire la Cassazione, ha sbagliato, ma forse non voleva arrivare a risultati così estremi, e forse non è stata tutta colpa sua, ma della situazione, della contingenza, del maledetto covid. Allora, se è così, e i giudici dovranno verificarlo, forse De Pace non si merita l’ergastolo ma gli si potrebbero concedere delle attenuanti perché tutti possono trovarsi in difficoltà emotiva e quindi c’è da capire se uno va fuori di testa e invece di strangolarti solo un po’ ti strangola del tutto.
Sembra di tornare ai tempi del film di Pietro Germi Divorzio all’italiana (1962), quando la pena per un delitto era diminuita se l’omicidio lavava un onore macchiato dal tradimento. Sembra, anche, di andare a prima del 1968 e 69 quando adulterio e concubinaggio erano considerati reati, con la differenza che adesso l’attenuante non è più l’onore offeso, ma lo stress causato dal covid e da tutto quel corollario che colpì le vite di tutti noi.

NESSUNO era felice in quel periodo perché nessuno è contento di stare come in prigione, ma mica la gente è corsa in massa a prendersi a coltellate. Se ci fu una cosa, durante il lock down, che aumentò moltissimo furono proprio le richieste di aiuto da parte di donne che si trovavano a dover convivere 24 ore su 24 con un marito violento. Lo stress, casomai, andrebbe riconosciuto a loro, se sono ancora vive, non a chi le picchiava o le ha ammazzate.
È una strana cosa la giustizia. È regolata da leggi fatte dagli umani, ma gli umani sono fallibili, a volte in buona fede, altre in malafede, risentono di un clima culturale, di convenienze, di evoluzioni o involuzioni. Non esiste la giustizia assoluta, ma una giustizia che risponde a regole che la società si dà e dentro quelle regole ci sono spazi interpretativi. Lì si apre il mare magnum della coscienza e della storia personale.

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