Il week-end dei funzionari del Ministero degli esteri russi è iniziato con gli straordinari. Era notte fonda in Europa, venerdì, quando il Cremlino comunicava che i servizi di sicurezza americani avevano chiesto di perquisire, nella giornata di ieri, gli uffici consolari russi a San Francisco.

Solo due giorni fa l’amministrazione Usa aveva imposto la chiusura, entro 72 ore, del consolato russo in California e di due altri uffici consolari russi a New York e Washington come ritorsione per la riduzione di 755 diplomatici americani attivi in Russia decisa da Putin in luglio.

Marija Zacharova, portavoce del ministero degli esteri, ha informato che ieri «i servizi di sicurezza Usa si sono presentati presso il nostro consolato per richiedere la perquisizione degli uffici inclusi gli appartamenti in cui vivono i funzionari insieme alle loro famiglie».

Secondo la diplomatica russa, «sarebbe stato richiesto a tutti i funzionari russi di abbandonare l’edificio entro 10-12 ore in modo da non interferire nelle attività dell’Fbi».

Subito dopo anche il capo del comitato del Consiglio della Federazione per gli affari esteri, Kostantin Kosacev, è stato sbalzato dal letto e ha rilasciato una durissima nota in cui ricorda che la richiesta di perquisizione degli edifici «rappresenta una violazione rozza, unilaterale e senza precedenti della convenzione di Vienna sottoscritta nel 1961».

La convenzione di Vienna, infatti, prevede «che in anche in caso di guerra (!) tra Stati, i privilegi di immunità per i diplomatici vengono mantenuti fino al momento dall’uscita dal paese di provenienza», ha precisato Kosacev.

La tensione è aumentata ancora quando l’Fbi ha denunciato che dagli uffici del consolato russo di San Francisco si sono alzate dense nuvole di fumo e sono stati inviati sul posto dei mezzi dei vigili del fuoco. Tuttavia i pompieri non hanno potuto accedere allo stabile per il netto rifiuto opposto dai russi.

Probabilmente nel consolato era in corso la distruzione di documenti sensibili, non per forza legati ad attività di intelligence. Una soluzione «caminetto», quella russa che, per quanto goffa, non giustificherebbe un chiaro tentativo di illegale intrusione da parte americana.

L’ipotesi che si trattasse di distruzione di documenti è stata avvalorata 12 ore dopo: l’agenzia Usa Foreign Policy ha battuto la notizia che anche dall’ufficio consolare russo di Washington sono state viste alzarsi delle nuvole di fumo.

Una volta confermata comunque la richiesta di perquisizione anche per gli uffici di Washington, il Cremlino ha convocato ieri mattina l’ambasciatore Usa a Mosca, Anthony Godfrey, a cui è stata consegnata una nota di protesta ufficiale «contro le ispezioni illegittime pianificate presso le sedi diplomatiche russe senza la presenza di funzionari russi e persino con la minaccia di sfondamento delle porte dell’edificio, un’aggressione senza precedenti, una mossa dei servizi segreti degli Stati Uniti volta a organizzare una provocazione anti-russa».

Il governo russo ha ammonito nella nota che «se le gravi violazioni del diritto internazionale e gli attacchi contro l’immunità dei rappresentanti della diplomazia non cesseranno immediatamente la Federazione Russa si riserva di rivalersi su base di reciprocità».

Una linea intransigente bilanciata però da una «nota di comprensione» del ministero degli esteri Lavrov secondo cui tutte le misure anti-russe di questi mesi sarebbero state imposte dal Congresso e dal segretario di Stato Tillerson a un recalcitrante Donald Trump.

Una dichiarazione che a Mosca è stata subito associata alle voci insistenti circolate negli scorsi giorni, secondo cui Lavrov sarebbe stato pronto a sfidare Putin nelle presidenziali del 2018.

Questa ipotesi, subito smentita dall’interessato, non ha tuttavia dissolto completamente i gossip su possibili dissapori tra i due sulle linee da seguire in politica estera.