Ci sono voluti cinque anni per arrivare a una sentenza di primo grado. Era il 14 luglio del 2008 quando Ottaviano Del Turco venne arrestato insieme a una decina tra ex assessori, consiglieri ed alti funzionari della Regione Abruzzo, che da un giorno all’altro si ritrovò politicamente decapitata. Le accuse, rimaste uguali fino alla sentenza di ieri, erano pesantissime: corruzione, concussione, tentata concussione, falso. Il peggio che possa essere addebitato a chiunque svolga una funzione pubblica. La procura di Pescara arrivò a tanto dopo una lunga inchiesta sulla gestione della sanità privata regionale. Nello specifico, si ipotizzavano movimenti di denaro per circa 15 milioni di euro, con Del Turco che ne avrebbe incassati – insieme all’allora assessore Lamberto Quarta e al capogruppo Pd Camillo Cesarone – 5 milioni e 800mila. La chiusura delle manette intorno a questi polsi eccellenti si abbatté come un tornado sulla politica abruzzese: Del Turco si dimise da presidente e da membro della direzione nazionale del Pd – partito che contribuì a fondare in qualità di saggio – e finì in carcere, a Sulmona, dove rimase per 28 giorni, fino a quando non gli vennero accordati gli arresti domiciliari. Non solo: la procura andò a mettere i sigilli a due immobili di sua proprietà, uno a Roma e uno in Sardegna. Scene che in Italia non si vedevano dai tempi di Tangentopoli. Uno scherzo del destino: il presidente – nonché ultimo segretario del Psi – negli anni ottanta passava per essere un duro e puro, sgradito ai craxiani per le sue reiterate denunce di corruzione all’interno del partito.
L’uomo che lo ha incastrato si chiama Vincenzo Maria Angelini, «il re della sanità privata abruzzese», signore e padrone di Villa Pini a Chieti. Fu lui a confessare alla procura, durante sette interrogatori fiume, di aver pagato tangenti per 15 milioni. Gli investigatori, in realtà, di questi soldi non trovarono traccia alcuna, ma hanno ritenuto comunque che i «gravi e concordanti indizi» della colpevolezza di Del Turco si celassero proprio nelle affermazioni di Angelini, che hanno trovato tutte «riscontri oggettivi» nelle indagini. La «prova regina» è una foto che immortala la cosiddetta «tangente delle mele». Il 2 novembre del 2007 a Collelongo (L’Aquila), Angelini si sarebbe recato nella residenza dell’allora governatore per consegnargli una valigetta piena di denaro contante. Sulla datazione dell’immagine si scatenò una guerra: per la difesa si trattava soltanto di macchie di colore impresse su pellicola, senza la benché minima chiarezza su quando fossero state scattate. Di diverso avviso l’accusa: la foto sarebbe stata fatta in un lasso di tempo compreso tra le 16:46 e le 18:01 del giorno dei morti, cioè dall’ora in cui il patron di Villa Pini sarebbe arrivato all’ora in cui sarebbe andato via. Orari che, peraltro, coincidono con quelli registrati dal telepass della sua auto ai caselli dell’autostrada. La maxiperizia ordinata dal tribunale, alla fine, ha dato ragione ai magistrati, attraverso un lungo studio sulle ombre.
Il resto, al termine di una requisitoria colossale, i procuratori lo hanno bollato come «primavera delle tangenti», con la politica abruzzese unita e compatta nell’intascare tutto l’intascabile: praticamente le larghe intese del latrocinio o, come fu detto in aula, «il partito dei soldi». Enormi, di conseguenza, le richieste: un secolo di carcere. Alla fine il tribunale si è espresso, accogliendo, almeno in gran parte, le richieste dell’accusa, con le tesi della difesa che si sono sciolte sotto il sole di luglio. Un massacro per chi sedeva sul banco degli imputati: si è detto «sconvolto» persino il grande accusatore Angelini, condannato a tre anni e sei mesi. «Scusate – ha detto con lo sguardo assente ai cronisti -, ma io di questa sentenza non ci ho capito niente». La partita, in realtà, è ancora lunga: i tempi per evitare la prescrizione corrono veloci, le difese hanno già annunciato la propria intenzione di ricorrere in appello, mentre Del Turco, dal suo fortino di Collelongo, non vuole commentare. Aspetta di leggere le motivazioni – arriveranno in autunno – ma già fa sapere di ritenersi un innocente vittima della giustizia: «come Enzo Tortora».