Rimandato a settembre. Attesa e non scontata la decisione del gup del tribunale di Palermo con la quale l’ex ministro della Propaganda è stato rinviato a giudizio per sequestro di persona nel caso Open Arms. Salvini risponderà, come tutti i cittadini, davanti ad un tribunale per una scelta gravissima: aver abusato dei poteri di ministro dell’interno per ricattare l’Ue in una trattativa strumentale sulla ridistribuzione dei richiedenti asilo.

La Lega ha fatto della criminalizzazione degli stranieri lo strumento principale del proprio successo elettorale, come ogni formazione della destra xenofoba, e Salvini non ha esitato a sequestrare delle persone per alimentare la propaganda di partito richiamando la difesa della Patria.

Difesa della patria e delle frontiere che nulla hanno a che fare con le scelte palesemente illegittime dell’ex ministro dell’interno: i naufraghi salvati da Open Arms erano persone indifese e in cerca di protezione. L’individuazione del porto sicuro più vicino è un dovere dello Stato, per legge, e non può dipendere dalla discrezionalità dei governi. In questo caso l‘allora responsabile del Viminale, pur sapendo che prima o poi lo sbarco sarebbe avvenuto, ha tenuto sotto sequestro 147 esseri umani per inventare un nemico contro il quale intervenire in modo da poter rivendicare il suo ruolo di difensore degli interessi italiani.

Il tribunale di Palermo, a differenza di quello di Catania, che si è schierato con le ragioni della difesa del leader leghista, ha ritenuto infondate le due principali argomentazioni di Salvini: la difesa delle frontiere e la decisione collegiale.

Che l’Italia non fosse sotto attacco è del tutto evidente: le 147 persone sono sbarcate senza alcun rischio per nessuno. Anzi, come prevede la legge, per quelli che hanno chiesto asilo, è stata disposta l’accoglienza e una procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato. Nessun pericolo per la patria.
Che la decisione non fosse collegiale è del tutto evidente, a prescindere da come la pensavano e la pensano gli allora colleghi di governo del leader leghista: il ministro dell’interno ha usato, abusandone, le sue prerogative in materia di sicurezza. Tante e trasversali sono invece le responsabilità per quel che avviene ancora oggi in Libia.

Vale la pena ricordare che il Memorandum siglato da Minniti con l’allora governo Serraj, è stato rinnovato nel 2020 e che le persone continuano a morire nel Mediterraneo per l’assenza di un programma di ricerca e salvataggio pubblico, mentre dalla firma di quell’accordo sono più di 55 mila le persone riportate nei lager libici con il sostegno, gli strumenti e le risorse dell’Ue e dell’Italia. Anche l’Alto Commissario per i Rifugiati Filippo Grandi, in visita in Italia questa settimana, ha denunciato la pratica illegittima dei respingimenti per procura, praticati dalla cosiddetta guardia costiera libica in nome e per conto dell’Ue.
La Libia non è un porto sicuro e supportare le operazioni di cattura dei naufraghi in fuga dalle violenze da parte delle milizie è una responsabilità pesante dei governi europei.

Grandi è intervenuto, togliendo con la sua denuncia ogni alibi a quanti continuano a nascondersi dietro la presenza dell’Unhcr in Libia, anche sulla necessità di sostenere le Ong che operano nel mediterraneo per salvare vite umane. L’attacco alle Ong emerso anche recentemente, con l’inchiesta della procura di Trapani, che ha riguardato inoltre giornalisti che fanno inchieste indipendenti sulla Libia e sulle esternalizzazione delle frontiere, intercettati in maniera del tutto anomala, al punto da spingere la ministra della Giustizia Marta Cartabia a disporre l’invio di ispettori.

Per chiudere con la stagione della propaganda leghista e della criminalizzazione della solidarietà, l’Italia dovrebbe imporre al nuovo governo libico di chiudere i lager per stranieri e promuovere un programma di evacuazione europeo per le poche migliaia di persone li presenti in cerca di protezione.