Il verdetto che ridà il via libera all’acciaieria di Taranto era talmente atteso che la notizia sparisce dai media già a metà pomeriggio. Il Consiglio di Stato ha impiegato quasi tutti i 45 giorni a disposizione dall’udienza del 13 maggio – sarebbero scaduti nel weekend – per esprimere il proprio verdetto.

SESSANTADUE PAGINE che ricostruiscono la lunga vicenda dell’ordinanza del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci e ne sconfessano i requisiti di emergenza, ribaltando la sentenza del Tar della Puglia.

I giudici di palazzo Spada, organo di appello inemendabile della giustizia amministrativa, quarta sezione, hanno disposto l’annullamento della sentenza del Tar di Lecce. Per Acciaierie d’Italia, la nuova società tra ArcelorMittal Italia e Invitalia, «vengono dunque a decadere le ipotesi di spegnimento dell’area a caldo» e di «fermata degli impianti connessi, la cui attività produttiva proseguirà con regolarità».

A febbraio il Tar di Lecce aveva confermato una precedente ordinanza del sindaco di Taranto di febbraio 2020 e aveva ordinato lo spegnimento degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva perché inquinanti. Secondo i giudici dell’appello «va dichiarata l’illegittimità dell’ordinanza impugnata e ne va conseguentemente pronunciato l’annullamento».

Il potere di ordinanza, secondo i giudici amministrativi, «non risulta suffragato da un’adeguata istruttoria e risulta, al contempo, viziato da intrinseca contraddittorietà e difetto di motivazione».

LA QUARTA SEZIONE «non ha condiviso la tesi principale delle società appellanti, secondo cui deve escludersi ogni spazio di intervento del sindaco in quanto i rimedi predisposti dall’ordinamento, nell’ambito dell’autorizzazione integrata ambientale (Aia) che assiste l’attività svolta nello stabilimento, sarebbero idonei a far fronte a qualunque possibile inconveniente. Tuttavia, ha ritenuto che quel complesso di rimedi (compresi i poteri d’urgenza già attribuiti al Comune dal Testo unico sanitario del 1934, i rimedi connessi all’Aia che prevedono l’intervento del ministero della Transizione ecologica e le norme speciali adottate per l’Ilva dal 2012 in poi) sia tale da limitare il potere di ordinanza del sindaco, già per sua natura «residuale», alle sole situazioni eccezionali in cui sia comprovata l’inadeguatezza di quei rimedi a fronteggiare particolari e imminenti situazioni di pericolo per la salute pubblica».

«SITUAZIONI» CHE per il consiglio di Stato ora a Taranto non ci sono: «Le misure previste dal Piano risultano in corso di realizzazione e non emergono particolari ritardi o inadempimenti rispetto alla loro attuazione», sostengono i giudici amministrativi.

«Lascia perplessi il fatto che il collegio si sia concentrato esclusivamente sull’atto amministrativo, affermando invece di non volersi esprimere sul complessivo impatto ambientale e sanitario determinato dalla presenza sul territorio dello stabilimento siderurgico tarantino», commenta sorpreso Francesco Saverio Marini, difensore del comune di Taranto.

Una sentenza attesa, dicevamo. Soprattutto dal governo che, dopo la sentenza di condanna della Corte di appello di Taranto nel processo «Ambiente svenduto» di tre settimane fa, aveva dichiarato per bocca di due suoi ministri (Giorgetti e Cingolani) di attendere il pronunciamento del Consiglio di stato per decidere sul possibile spegnimento definitivo dell’area a caldo.

ORA NATURALMENTE L’AREA a caldo ripartirà anche se nessuno conosce il piano preciso della nuova compagine azionaria, guidata dal neo presidente Franco Bernabè, 73enne manager totalmente digiuno da esperienze siderurgiche. E colpisce la novità di ieri, l’inclusione di Fincantieri come partner, anch’esso digiuno di siderurgia.

LA SODDISFAZIONE del governo è nelle parole di Giancarlo Giorgetti: «Alla luce del pronunciamento del Consiglio di Stato sull’ex Ilva, che chiarisce il quadro operativo e giuridico, il governo procederà in modo spedito su un piano industriale ambientalmente compatibile e nel rispetto della salute delle persone. Obiettivo è rispondere alle esigenze dello sviluppo della filiera nazionale dell’acciaio accogliendo la filosofia del Pnrr recentemente approvato», dichiara il titolare del Mise.

DA PARTE SINDACALE l’accento viene posto sulla necessità di contrattare il nuovo piano. Per Gianni Venturi della Fiom ora «si apra un negoziato vero sul piano industriale con Acciaierie d’Italia e i ministri interessati; si definisca una transizione credibile ambientalmente e socialmente sostenibile; si rilanci un asset strategico». Per Rocco Palombella della Uilm adesso «è finito ogni tipo di alibi per la politica e l’azienda. Non c’è più tempo da perdere». «Auspichiamo che finisca questa fase d’incertezza. Azienda e governo diano certezze su investimenti, occupazione e transizione ecologica», sottolinea Roberto Benaglia della Fim Cisl.