Anno 2048, la razza umana è costretta a lasciare la terra dopo decenni di tentativi falliti per sconfiggere i mostri che si sono impadroniti del pianeta, dopo venti anni di viaggio intergalattico i sopravvissuti cercano di colonizzare il pianeta Tau Ceti che si rivela però inabitabile. La flotta decide di ritornare allora verso il pianeta terra, ma il viaggio la riporta in una terra dove sono passati ventimila anni e dove l’evoluzione ha cambiato tutto, restano solo i mostri.
Sembra una storia di fantascienza classica ma si tratta in realtà dell’ultima evoluzione di Godzilla che, dopo il lungometraggio targato Hideaki Anno nel 2015, è ritornato da un paio di giorni sui grandi schermi dell’arcipelago. Sempre prodotto dalla Toho naturalmente, questa volta si tratta però di un lungometraggio animato in CGI, il primo capitolo di una trilogia che dovrebbe completarsi nel prossimo biennio. Il CGI è una tecnica che ha sollevato più di qualche dubbio in anni recenti in Giappone, specialmente quando lo stile vuole rendere naturalisticamente luoghi e personaggi, una certa freddezza nei tratti ed una mancanza di fluidità nei movimenti sono le caratteristiche che, in negativo, hanno continuato a minare la qualità delle storie portate sullo schermo con questa tecnica.

Negli ultimissimi anni sono indubbiamente stati fatti passi in avanti, ma non ancora da far gridare al miracolo e Godzilla: Planet of the Monsters, questo il titolo del film, non si sottrae a questa tendenza. Nonostante queste limitazioni però c’è da dire che i due registi Kobun Shizuno e Hiroyuki Seshita assieme allo studio Polygon Pictures sono riusciti a confezionare una storia tanto diversa ed originale da quella a cui siamo di solito abituati quando parliamo di Godzilla, tanto interessante e ricca di potenzialità narrative ed espressive, soprattutto considerando che si tratta di una trilogia in fieri. Senza andare troppo in profondità per evitare possibili spoiler, si può certamente affermare che l’elemento più interessante di questa nuova incarnazione del kaiju giapponese è quindi il drastico cambiamento d’ambientazione. Dalla contemporaneità o dal futuro prossimo, luoghi e tempi che caratterizzano quasi tutti i trentuno film dedicati al lucertolone, qui ci si trasferisce in un futuro lontanissimo su in pianeta terra divenuto oramai alieno ed ostile al genere umano e dominato da Godzilla e dalle sue coorti di kaiju. Ambientazione e stile in piene atmosfere space opera per altro che non possono non ricordare

La corazzata Yamato in tutte le sue iterazioni di questi ultimi quarant’anni, anche perchè la ricerca di un nuovo pianeta abitabile dal genere umano è l’ossatura narrativa da cui si dipanano tutte le vicende del capolavoro di Leiji Matsumoto. Il design e la resa di Godzilla lascia un po’ a desiderare, specialmente nella prima parte del film, per poi decisamente elevarsi nelle ultime scene, una massa enorme quasi rocciosa e figlia della terra aliena assieme a cui si è evoluta. Il lucertolone nelle sue infinite variazioni ha del resto sempre coagulato attraverso le sue forme ed il suo design dei significati più profondi, anche quando non espressi esplicitamente come nel film originale. Qui più che mai Godzilla sembra essere la materializzazione della vita e della sua potenza evolutiva e insensibile alla storia del genere umano, anche se le origini non sono troppo chiare nel film.Dopo il debutto nelle sale dell’arcipelago Godzilla: Planet of the Monsters sarà distribuito a livello internazionale da Netflix e quindi dovrebbe arrivare anche in Italia in tempi brevi.

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