Per gli amanti del progressive, Darwin era e resta l’album «perfetto». Così perfetto e sempre attuale che il Banco del Mutuo Soccorso ha deciso a quarantun’anni di distanza di ripubblicarlo (su etichetta Sony) in una versione rimasterizzata – con certosina applicazione da Giancarlo Amendola. «Operazioni di questo genere – ammette «la voce» Francesco Di Giacomo – potrebbero far pensare a un tentativo meramente commerciale di resuscitare un progetto per compiacere i fan e vendere qualche copia. Bisogna farle solo se ha un senso. E per noi è stato così, abbiamo ripreso i vecchi master delle composizioni scritte da me Vincenzo Nocenzi e gli abbiamo dato dei suoni decisamente più scintillanti. Ma aldilà del fatto meramente tecnico, ti accorgi che è musica di sostanza, con dei testi ’importanti’. Parlavano di evoluzione umana e di ambiente e inquinamento con molto anticipo».

. «Con Alessandro Colombini, il produttore – spiega Vincenzo Nocenzi nelle note che accompagnano il booklet del disco – si parlava di un disco che avesse un unico filo conduttore, un concept album insomma. In quel periodo c’era un dibattito molto acceso sul darwinismo e sull’evoluzionismo e con Francesco pensammo che l’argomento fosse interessante. Partimmo dalla parabola dal paradigma scientifico che dagli organismi monocellulari porta all’uomo, passando dalla scoperta della terra, dell’aria, dell’acqua, ipotizzammo un percorso che alimentasse e fagocitasse allo stesso tempo la teoria, fino alla vera e propria riflessione esistenziale che questo comporta». [do action=”citazione”]Nei primi anni 70 si indagava di religione e di politica e sul senso della vita. L’intuizione del Banco e di altre realtà musicali di un’Italia mai così in fermento, fu di sintetizzarle in opere magistrali dove una ricerca musicale di spessore andava a braccetto con un pesante lavoro di scrittura dei testi[/do]

Nel «nuovo» Darwin oltre a un cd contenente una versione «live» del disco registrato lo scorso anno, trova posto l’inedito Imago mundi, dove appare anche la voce di Franco Battiato: «Ho fatto un sogno in bianco nero, forte come un figlio lungo come un treno», recita in un cadenzato quanto inusuale rap Nocenzi: «Ci è sembrata – sottolinea Di Giacomo – la giusta conclusione del progetto. Un brano che non è un bonus ma si integra perfettamente a Darwin. Per la prima volta non ho scritto le parole, l’autore è un mio amico, Francesco Di Gregorio, ma sono liriche nelle quali ci siamo riconosciuti. Abbiamo coinvolto Battiato perché il pezzo in qualche modo si avvicinava al suo mondo, lui è molto generoso e se un’idea lo appassiona non dice mai no».

Il brano è supportato da un video di impatto: «L’idea era di accelerare le immagini, ci siamo un po’ ispirati ai lavori di Koyaanisqatsi per ribadire come l’uomo stia distruggendo il suo habitat a un ritmo immensamente superiore al passato. Nel cortometraggio ribadiamo come non bisogna mai abituarsi all’orrore…». Si dice Banco e si associa al progressive, ma il processo creativo della band ha attraversato varie fasi: «Ci sono stati momenti – spiega Di Giacomo – in cui avremmo potuto stare tranquillamente fermi, limitarci a rielaborare idee già esposte e avremmo mantenuto tranquillamente un seguito di pubblico. Ma noi abbiamo preferito provare a sperimentare; abbiamo fatto jazz, classica e poi ci è sembrato normale affrontare la forma canzone. Anche nell’accezione pop. Non siamo affatto pentiti di brani come Moby Dick, Paolo Pa o Buone notizie. E i ’duri e puri’ fan del Banco alla fine hanno compreso che tutto faceva parte di una naturale e giusta evoluzione».

Nel 1974 Greg Lake folgorato dalla band li ’costrinse’ a lasciare la Ricordi per sottoscrivere un contratto con l’inglese Manticore, la storica label di Emerson Lake & Palmer. Un lancio internazionale in grande stile: «Siamo stati circospetti, avevamo timore a misurarci con le realtà internazionali. Ma a Londra ci siamo accorti di non essere pellegrini, ci hanno applaudito e hanno amato la nostra musica. Anche nel tour con i Gentle Giant è stata la stessa cosa, anzi i musicisti sono stati di una gentilezza incredibile, tutto il contrario di quello che si dice l’arroganza dello show business. Ci hanno sempre lasciato spazio e la possibilità di fare dei bis»…
Il rock è morto, lo si sussurrava dieci anni fa, ora per molti è una certezza… «Uno dei primi a dichiarare la fine del rock – chiosa Di Giacomo – è stato Sting vent’anni fa. Ma siamo ancora qui, perché è un genere che rinasce come l’araba fenice quando meno te lo aspetti. C’è sempre qualcuno che arriva, dà un colpo di coda e mette pace nella diatriba».