Le elezioni europee si avvicinano. Si tratta di un appuntamento vissuto dal corpo elettorale con una certa freddezza. Se ne discute, in Italia, ma non solo, come se si trattasse soprattutto di una verifica dei rapporti di forza fra partiti da spendere in chiave nazionale. Ma si dice anche che non sarà come le altre volte, che siamo di fronte a un passaggio decisivo. In effetti, la tradizionale egemonia dei raggruppamenti popolare e socialista, architrave, fra concorrenza e consociativismo, della costruzione e del governo dell’Unione europea, vacilla a fronte della probabile affermazione delle formazioni appartenenti alla galassia «populista» o «sovranista». A ciò si aggiunge la Brexit, con la situazione di sospensione che ha seguito il referendum.

NEL CELEBRE SAGGIO sui riti di passaggio, Arnold Van Gennep individuava nella liminalità la fase intermedia, transitiva, che segnava il passaggio da un ordine all’altro. Si tratta di un concetto ripreso da Victor Turner in relazione ai rituali politici e che appare estendibile alle aggregazioni e alle dinamiche dello scenario europeo. A emergere non sono solo nuovi equilibri fra forze tradizionali e attori più o meno nuovi. Gli stessi «portatori» dell’«europeismo reale» appaiono non solo in crisi di consenso ma anche coinvolti in un processo di transizione e ridefinizione della loro identità politica dagli esiti incerti. I popolari oscillano fra il ruolo di garanti dell’ortodossia europeista contro l’attacco dei barbari e quello di possibili protagonisti di un mutamento dell’asse portante della politica dell’Unione. A profilarsi non è solo una possibile alleanza con i «sovranisti», ma una vera e propria Opa delle forze «populiste» sui popolari.
In proposito si deve ricordare come Orbán stia già, pur problematicamente, in quel gruppo. I partiti socialisti, da parte loro, all’accelerazione assunta dal loro declino in termini di consensi e, soprattutto, di rappresentatività sociale, rispondono riproponendo ora la partnership con i popolari ora l’appello a improbabili velleità frontiste o ad aperture «a sinistra» dai contenuti vaghi e imprecisati. Il tutto in uno scenario, anch’esso liminale, in cui le istituzioni europee lungi dal promuovere la convergenza, in termini sia politici sia economici, hanno avviato una profonda differenziazione e gerarchizzazione degli spazi politici ed economici dei paesi membri, con un incremento di tensioni e tendenze centripete tale da non rendere niente affatto scontata la tenuta degli attuali assetti istituzionali, come testimonia il periodico riemergere di vari piani B (Europa a più velocità, a cerchi concentrici, a due monete).

RISPETTO alla prospettiva europea, sul versante del pensiero critico si fronteggiano due differenti opzioni. Da una parte abbiamo coloro, meno rari rispetto al passato, che assumono una decisa posizione antieuropeista e vedono nella riacquisizione delle prerogative sovrane da parte degli stati, in particolare in materia monetaria, la precondizione per riattivare la politica democratica, procedere a un imbrigliamento dei mercati e rilanciare il cammino dei diritti sociali. In tal senso, la costruzione europea e la moneta unica si presenterebbe non come un progetto incompiutamente realizzato, di cui si pagano ritardi e timidezze, quanto come un successo, se considerato dal punto di vista della costruzione di un grande spazio per l’egemonia economica tedesca, la costruzione politica e giuridica di un ordine che affida alla concorrenza un crescente numero di ambiti, la promozione di politiche di depressione salariale e stabilità dei prezzi. Su un versante opposto c’è chi sull’Europa continua a puntare, vedendo in essa l’unica scala al cui livello sarebbe possibile intraprendere politiche di regolazione e limitazione dello strapotere dei soggetti privati che operano su scala transnazionale nonché di fronteggiare, su un piano geopolitico, quegli stati che non hanno affatto rinunciato alle prerogative sovrane, per esempio Stati uniti, Cina o Russia, e promuovono la loro politica di potenza attraverso strumenti vecchi e nuovi, dalla guerra alle sanzioni passando per l’azione dei fondi sovrani.

Su questa linea, procedendo a una critica sia della costruzione europea e delle politiche di austerity sia del sovranismo di sinistra, si muove il più recente volume di Marco Bersani, uno dei promotori di Attac Italia, dal titolo Europa alla deriva Una via d’uscita tra establishment e sovranismi (DeriveApprodi, pp. 178, euro 13). L’autore, se da una parte tiene il punto sull’«irriformabilità» dell’architettura stabilita dai vincoli di bilancio di Maastricht, dal patto di stabilità del trattato di Amsterdam, dall’austerità del fiscal compact e dalla struttura a-democratica delle istituzioni europee, dall’altra esclude che l’attivazione di una sovranità popolare a valenza emancipatrice possa svilupparsi sul terreno dello stato nazionale, come dimostrerebbe, per esempio, la difficoltà del sovranismo di sinistra nel maneggiare la questione dell’immigrazione.

SI TRATTA di una sensibilità che emerge anche in Europa. La posta in gioco (manifestolibri, pp. 292, euro 18), un volume dal carattere modulare, curato da Simona Bonsignori e Marco «Troika» Benigno, con introduzione di Luciana Castellina, che si propone come strumento direttamente calibrato sulla scadenza elettorale. A una serie di articoli di carattere generale, segue una sezione in cui si raccolgono specifici contributi sulla situazione politico-elettorale che caratterizza i singoli paesi membri dell’Unione europea. Si tratta di una lettura utile in quanto le diverse istantanee, specie quelle dedicate ai paesi meno notiziabili, permettono di disporre di un quadro più articolato, e non riducibile allo schema del «trionfo delle destre», delle tendenze elettorali che caratterizzano il continente. A emergere, in particolare, è una costante, relativa all’imporsi, al di là delle variabili locali, di una matrice territoriale centri-periferie, città-campagne, nodi globalizzati e aree marginali, nell’orientare le scelte dell’elettorato. Si tratta di una dinamica non solo europea che presumibilmente andrebbe analizzata in relazione ai processi di allocazione selettiva delle risorse, non solo economiche, e di composizione e ricomposizione dei territori in relazione alla loro connessione/deconnessione con gli spazi dei flussi globali.

AL CENTRO DEL LIBRO troviamo la traduzione, a cura di Sbilanciamoci, dell’Euromemorandum 2019. Una politica economica per le classi popolari steso da EuroMemo Group o European Economists for an Alternative Economic policy in Europe. Il rapporto si sofferma sulle difficoltà dell’economia europea, l’aumento delle diseguaglianze, fra paesi e gruppi sociali, la contrazione delle prestazioni offerte dai sistemi di welfare, evidenziando le chiare responsabilità in proposito delle politiche macroenomiche proposte in sede europea. EuroMemo Grup non si limita all’analisi critica ma si propone anche di individuare una serie di misure in grado di orientare la politica dell’Unione europea e dell’Eurozona in termini di reindustrializzazione selettiva, abbandono dell’austerity, armonizzazione fiscale, sviluppo degli investimenti pubblici, mutualizzazione del rischio, reddito di base, sostenibilità ecologica, pur nella consapevolezza di come i rapporti di forza fra le classi, le tendenze elettorali dominanti e, non ultima, l’intransigenza tedesca, rendano al presente decisamente improbabile ogni sviluppo nella direzione auspicata. Di conseguenza, a fronte di una fase dello sviluppo capitalista prevedibilmente «caratterizzata da accresciuti livelli di conflitto e crisi», l’appello più che alla Ue è a un processo costituente a scala europea, nella prospettiva di un modello definito «democratico-regionalista». Il volume di Bersani, da parte sua, a partire da un analogo scetticismo circa gli spazi di azione all’interno del contesto istituzionale della Ue, pone l’accento soprattutto sul carattere europeo e globale di una serie di lotte e movimenti, cogliendo su tale terreno il possibile elemento propulsivo della costruzione dal basso di un nuovo ordine politico ed economico.