AstraZeneca a rapporto a Bruxelles, ieri nel tardo pomeriggio. Iskra Reic, vice-presidente esecutivo per l’Europa e il Canada, ha dovuto spiegarsi di fronte alla Commissione, dopo le forti polemiche per il taglio delle consegne delle dosi del vaccino anglo-svedese, per il quale la Ue ha investito preventivamente 336 milioni di euro per ottenere 400 milioni di dosi. Nel pomeriggio, c’è stata una nuova doccia fredda per gli europei: non è più il 60% in meno delle dosi promesse nel primo trimestre, perché solo un quarto sarà consegnato ai paesi Ue.

LE DICHIARAZIONI del presidente di AstraZeneca, Pascal Soriot, ai giornali dell’alleanza Lena, sono state giudicate irricevibili: AstraZeneca non ha «un obbligo contrattuale» sulla quantità di dosi, nel contratto c’è solo l’impegno per mettere in atto «il migliore sforzo» (best effort) sulle consegne, ha dichiarato alla stampa il numero uno dell’azienda. Soriot è arrivato ad affermare che la reazione della Ue è «emotiva».

Il Parlamento europeo chiede che il contratto sia «reso pubblico» per fare chiarezza. La commissaria alla Salute, Stella Kyriakides, è furiosa: denuncia «spiegazioni insufficienti» di AstraZeneca, a cui ingiunge di «mantenere gli impegni presi nel quadro dell’accordo», dove sono stati spesi i «soldi dei contribuenti». «Siamo in una situazione di pandemia. Ogni giorno, delle persone muoiono. Non si tratta di cifre. Non si tratta di statistiche. Si tratta di persone, di famiglie, di amici e di colleghi. Le imprese farmaceutiche hanno responsabilità morali, sociali e contrattuali che devono onorare. Noi abbiamo firmato un accordo di acquisto anticipato per un prodotto che non esisteva ancora in quel momento e non è ancora autorizzato. E noi abbiamo firmato precisamente perché l’impresa rafforzi le capacità di produrre dei vaccini rapidamente, per essere in grado di fornire un certo numero di dosi il giorno in cui sarà autorizzato», scandisce nel suo accorato discorso Stella Kyriakides.

La Ue respinge «la logica del primo arrivato, primo servito, che può servire dal macellaio, ma non nel quadro di contratti e certamente non in quello dei nostri accordi anticipati». Kyriakides risponde con irritazione alle voci su forniture maggiori in Gran Bretagna – che ne approfitta per vantare la Brexit – invece che nella Ue, dove c’è un impianto in Belgio.

L’UNIONE EUROPEA, sotto la pressione della Germania, minaccia adesso di mettere in atto «entro la fine della settimana» delle «restrizioni all’export» di vaccini. Il commissario Valdis Dombrovskis, mette dei paletti, spiega che non ci saranno certamente «blocchi ai porti», ma che verrà richiesta «trasparenza» sulle vendite delle case farmaceutiche. Ci sarà «un meccanismo di trasparenza sull’export», per «fare chiarezza sulle capacità di produzione, sul numero delle dosi prodotte e dove, su quante dosi vendute e a chi, vengono esportate».

La Gran Bretagna è inquieta: Boris Johnson non vuole «nessuna barriera». La Ue chiede che due impianti industriali di AstraZeneca in Gran Bretagna producano anche per la Ue, ma Johnson minaccia di riservarli per i bisogni nazionali. Restrizioni all’export erano già state introdotte nella primavera scorsa per mascherine e materiale sanitario, Germania e Francia avevano imposto il blocco, che era poi stato tolto quando la Ue aveva impedito l’export fuori dalla Ue. Ma per i vaccini c’è un problema nuovo: la catena di produzione dipende dal mercato internazionale, molti componenti provengono da fuori i confini Ue e un blocco dell’export espone al rischio di ritorsioni e di impedimento nella produzione di vaccini. Al massimo, sarà introdotta un’autorizzazione nazionale all’export.

LA QUESTIONE APRE una polemica internazionale. La Ue è il primo finanziatore del programma Covax, per i vaccini a favore dei paesi in via di sviluppo (a cominciare dai Balcani e dal sud del Mediterraneo), un programma di geopolitica che non può essere tralasciato (Cina e Russia sono all’attacco su questo fronte e a Davos il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, ha denunciato il «nazionalismo vaccinale» dei paesi ricchi che si sono accaparrati «4 volte» le dosi di cui hanno bisogno).

MA NELLA UE OGGI mancano i vaccini. La polemica su AstraZeneca è scoppiata prima dell’autorizzazione dell’Agenzia europea del farmaco, prevista a fine settimana. Ad accendere i riflettori è stato il caso Pfizer. Il laboratorio francese Sanofi, che è in netto ritardo sul vaccino (previsto per fine anno), ha accettato di produrre per Pfizer: sarà da agosto, nella fabbrica di Francoforte, per contribuire «alla capacità di distribuzione, il più in fretta possibile».

Intanto, in Germania si dibatte sulla necessità di una «strategia coerente» che prevede imposizione di mascherine FFP2 e test, mentre in Francia il governo ammette che il coprifuoco nazionale alle 18 (dal 16 gennaio) «non frena abbastanza i contagi» e che nel fine settimana saranno prese nuove decisioni. In Francia c’è ormai un chiaro problema di accettabilità sociale delle misure anti-Covid, il 55% è contro un nuovo lockdown (approvato all’80% nel marzo 2020), situazione delicata dopo le rivolte in Olanda.