Ieri, nello stesso momento in cui entrava in vigore l’Unione economica euroasiatica tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan, che porta a un livello superiore di integrazione economica l’Unione doganale, operativa dal 2010, in un altro settore dell’ex territorio sovietico si faceva invece un ulteriore passo verso l’area europea. La Lituania è entrata nell’eurozona, abbandonando la moneta nazionale a favore dell’euro, e la Lettonia ha assunto la presidenza semestrale della Ue.

In Lituania, divenuta ufficialmente, ultima tra i tre paesi baltici, diciannovesimo membro dell’Unione monetaria, la moneta locale potrà circolare ancora fino al 15 gennaio, dopodiché andrà definitivamente a riposo, al cambio di 3,45 litas per un euro. Il paese avrebbe dovuto entrare nell’euro già nel 2007, ma l’inflazione al 2,7 per cento non consentì allora di rientrare nei criteri di Maastricht, che prevedono, tra l’altro, un’inflazione a non più dell’1,5 per cento oltre il limite minimo dell’eurozona. Poi la profonda recessione del 2009 e ora l’agognato traguardo, con il presidente della Bce Mario Draghi che porta il paese a «modello per l’Europa»: le previsioni per il 2016 sono di un’inflazione all’1,9 per cento, un deficit di bilancio al 2,6 per cento del Pil e un debito pubblico al 39 per cento.

Mentre i primi ministri di Estonia e Lettonia (entrate nell’eurozona rispettivamente nel 2011 e 2014) si sono affrettati a congratularsi con Vilnius – «I paesi del Baltico sono ora uniti da un altro simbolo, l’euro, che rafforza ulteriormente il benessere e la compattezza dei nostri popoli», ha detto la premier lettone Laimdota Straujuma – i critici dell’ingresso nell’eurozona sono invece preoccupati. Secondo l’agenzia di stampa Interfax, gli allarmi si concentrano soprattutto su probabile aumento dei prezzi, perdita di competitività e sul fatto che le centinaia di milioni di contributi al fondo di salvataggio accresceranno il debito nazionale, privando il paese di fondi che potrebbero essere invece utilizzati per altri obiettivi. «Con l’unione all’euro», aveva dichiarato nei giorni scorsi il Commissario per le questioni finanziarie e doganali dell’Unione Pierre Moscovici, «il popolo lituano compie una scelta in direzione della zona di stabilità, sicurezza e sviluppo. La Lituania ha una grossa esperienza in fatto di politiche di bilancio e fiscali e di riforme strutturali»: vale a dire, in tutti quei settori considerati prioritari per gli interessi dei grandi monopoli europei. Ecco quindi che «il paese dispone di tutte le premesse per svilupparsi nell’eurozona». Di fatto, i sondaggi danno appena un 53 per cento di lituani favorevoli all’ingresso nell’euro.

Sempre ieri un altro paese baltico, la Lettonia, ha assunto la presidenza semestrale dell’Unione europea. Il programma lettone era stato illustrato all’inizio di dicembre a Bruxelles dal primo ministro Laimdota Straujuma: aumento della capacità concorrenziale, con la realizzazione del fantasmagorico “piano Juncker” per fumosi investimenti e nebbiosa occupazione e, sul piano politico, rafforzamento del ruolo Ue quale «soggetto globale della politica internazionale». Quanto tale ruolo di soggetto politico sul versante del partenariato orientale sia a dir poco nebuloso, lo sta tuttora dimostrando proprio l’atteggiamento subordinato di paesi baltici e Polonia (ed Europa, in generale) nei confronti delle scelte espansive orientali della Nato, con l’intensificarsi delle manovre militari e il potenziamento della presenza permanente di uomini e mezzi europei (e caccia italiani) nelle basi dell’Alleanza Atlantica, a partire proprio dalla Lettonia e dalle altre basi di Baltico e Polonia. Il tutto con il pretesto della aggressione russa all’Ucraina: già a metà dicembre, la Straujuma aveva anticipato la scelta europea (leggasi: americana) del proseguimento delle sanzioni contro la Russia se non ci saranno passi avanti nei colloqui di Minsk. D’altra parte, ancora lo scorso ottobre, l’ordinario di politica mondiale all’Università di Mosca, Aleksej Fenenko, anticipava che, in risposta al rafforzamento delle posizioni russe nell’area del Mar Nero, gli Stati Uniti provocheranno la prossima crisi, pericolosa per la Russia, nel Baltico.