Dobbiamo tornare ad interrogarci, per ricercare le risposte ai grandi problemi del nostro particolare tempo, caratterizzato su scala continentale e per alcuni aspetti mondiale dal ritorno del nazionalismo, di forme di oscurantismo, neofascismo e neonazismo. Riflettendo sull’antifascismo, abbiamo bisogno di un nuovo pensiero critico che, analizzando un inedito presente e guardando al futuro, sia ancorato alle grandi intuizioni resistenziali e pre-resistenziali: la riflessione sul passato non è mai sufficiente, ma è sempre necessaria.

In occasione del Centenario della marcia su Roma nello scorso autunno nella società italiana si è ampiamente riflettuto su quanto accadde allora.

Non si è sottaciuto che, fermo restando il ricorso diffuso alla violenza da parte dei fascisti che pesò moltissimo su quelle vicende, le forze del lavoro e quelle democratiche non seppero dar vita ad una reazione adeguata salvo l’appellarsi alle istituzioni che si mostrarono inerti, sorde e complici. Ma è tempo di riflettere anche sugli errori e i limiti delle forze antifasciste, divise, frequentemente in aspra concorrenza tra loro e comunque incapaci di comprendere a fondo che nel nostro paese stava avvenendo qualcosa di del tutto inedito. Se la sconfitta della nostra fragile democrazia è stata indubbiamente facilitata un secolo fa da quelle divisioni e da quegli errori, va sottolineato che ha pesato soprattutto la profonda crisi della Italietta liberale, una crisi che affondava le proprie radici nei decenni che hanno seguito l’unità d’Italia e che ha rafforzato la sua deriva negativa durante la Grande Guerra.

Enorme è stata la responsabilità del re e delle classi dirigenti di Confindustria, delle istituzioni, dell’esercito, della Chiesa e di molti altri che hanno pensato di usare il fascismo per contenere le sinistre e per cercare di costituzionalizzare quel complesso movimento eversivo per poi riprendere le usuali dialettiche tra i partiti risorgimentali, che in quella fase storica erano divisi e senza precise strategie. Ma le classi dirigenti italiane scelsero di non difendere i valori basilari della stessa democrazia liberale.

Dopo il ventennio nero e le sanguinose guerre fasciste espansioniste e coloniali, con la promulgazione delle leggi razziali, e con lo scatenamento della guerra a fianco di Hitler e del Giappone, prevalse nelle forze politiche antifasciste la consapevolezza di poter sconfiggere il fascismo, di dover ricostruire una Italia nuova e perseguire quegli ambiziosi obbiettivi con una unità politica, sindacale, sociale e culturale superando le infauste divisioni degli anni Venti.

Si combinarono così iniziative cospirative e confronti di straordinaria qualità politica e culturale sul come affrontare il futuro del Paese. Il pensiero cattolico maturò il Codice di Camaldoli, l’elaborazione di Spinelli, Rossi e Colorni culminò nel Manifesto di Ventotene, si ebbero le sofferte riflessioni aperte tra i socialisti e tra gli azionisti, si abbozzarono le prime idee di una democrazia progressiva da parte di Eugenio Curiel e successivamente tali idee furono organicamente sostenute da Togliatti. Questi contributi hanno innervato il dibattito tra coloro che poi animarono la Resistenza e guidarono l’Italia nel dopoguerra. Quelle riflessioni e quelle elaborazioni furono per molti aspetti fra i semi dei lavori della Assemblea Costituente, e successivamente della Costituzione che affonda le proprie radici storico-politiche nei “venti mesi”, dall’8 settembre al 25 aprile.

Oggi imperversano forme vecchie e nuove di revisionismo e la stessa Costituzione, che costituisce l’approdo più importante di quella fase storica e che a differenza di quella tedesca e di quella giapponese è stata realizzata attraverso un ampio percorso popolare, è posta ancora una volta sotto attacco.

Dobbiamo rispondere per quanto possibile con una specifica offensiva culturale. Se è vero che per definire un pensiero antifascista moderno dobbiamo riscoprirne i fondamenti storici, è perciò giusto e necessario tornare a studiare e ad approfondire le riflessioni di quegli anni, come ci siamo impegnati a fare durante l’assemblea nazionale dell’ANPI che si è svolta a Cervia il 4 e 5 febbraio di quest’anno. Da ciò è nato questo convegno, dall’opportuno titolo “Idee costituzionali prima del 25 luglio ‘43”.