Gli operatori precari delle politiche attive del lavoro scrivono alla ministra Nunzia Catalfo e chiedono l’estensione del “reddito di cittadinanza”, senza vincoli e in maniera universale. E propongono un ripensamento delle strategie dell’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro (Anpal)

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Egregia Ministra Nunzia Catalfo,

la pandemia generata dal virus COVID-19, nel nostro Paese e nel mondo tutto, è già crisi economica. L’impatto che avrà sui livelli occupazionali sarà drammatico. Le prime previsioni dell’International Labour Organization indicano la perdita di (almeno) 30 milioni di posti di lavoro. Si tratta di una crisi pervasiva, che interessa trasversalmente diversi ambiti dell’economia. Molte imprese stanno già ridimensionando gli organici e licenziando. L’aumento della disoccupazione, che già a breve registreremo, e la crescita delle diseguaglianze sociali rischiano di amplificare le prospettive recessive per l’Italia e l’Europa. In una recente comunicazione (13 marzo) la Commissione europea ha stimato una contrazione della crescita europea del -2,5 per cento circa. Una stima per difetto, che non tiene conto delle ulteriori misure di contenimento introdotte di recente da altri Paesi. L’amministratrice delegata del FMI, più realisticamente, ha ammesso la prospettiva di una recessione globale altrettanto grave, se non peggiore, di quella registrata nell’ultima crisi finanziaria mondiale, quella esplosa nel 2007.

In qualità di operatori precari delle politiche attive del lavoro abbiamo deciso di riprendere parola. Siamo preoccupati, non solo per la nostra prospettiva occupazionale e per le reiterate decisioni sbagliate del management di ANPAL Servizi, ma perché – proprio in quanto operatori di questo comparto del welfare – pensiamo che serva un deciso cambio di rotta nel contenuto e nella gestione delle politiche del lavoro e di sostegno al reddito.
Senza troppi giri di parole: riteniamo urgente introdurre nel nostro Paese una coraggiosa revisione del welfare in chiave universalistica; unita a un rafforzamento, e un necessario prolungamento, degli ammortizzatori sociali già attivi, per tutelare il lavoro dipendente e garantire i livelli occupazionali. Le misure recentemente varate dal Governo per contrastare gli effetti economico-sociali del Coronavirus sono un primo passo importante, tuttavia insufficiente. Il problema non è solo la scarsa allocazione delle risorse, inadeguate rispetto alla gravità di una crisi che si protrarrà a lungo, ben oltre il periodo di quarantena. Il limite maggiore delle politiche emergenziali di protezione sociale del Governo riguarda anche il loro contenuto. La sfida che abbiamo di fronte in questa fase, data la profondità della crisi, ci autorizza a dire che non sia rimandabile un radicale superamento della logica della “targetizzazione” del welfare, che ha contraddistinto gran parte delle riforme dagli anni Novanta dello scorso secolo. Ereditiamo un mercato del lavoro strutturalmente frammentato, composto da una molteplicità di figure del lavoro, da una pluralità di modi attraverso cui si esperisce la vulnerabilità e il rischio della povertà. Gli effetti di questa crisi, da più parti paragonati a quelli di una guerra – si pensi all’intervento di Mario Draghi sul Financial Times –, peggioreranno ulteriormente il quadro. Serve una coraggiosa misura universale di sostegno al reddito finanziata dalla fiscalità generale. Pur non essendo nostra intenzione ridurre l’importanza dei più tradizionali istituti di protezione di tipo assicurativo, riteniamo non sia possibile poggiare prevalentemente sulle gambe di questo pilastro la tenuta sociale del Paese. Così facendo, si escluderebbero troppi soggetti dalla protezione sociale, con l’effetto di ampliare – oltre ogni livello tollerabile – i fenomeni di povertà.

Per queste ragioni guardiamo con grande intessere alle molteplici iniziative che in queste ore insistono nel chiederLe un coraggioso ripensamento del ruolo del “Reddito di Cittadinanza”, attraverso un allargamento (già dal mese di aprile) dei parametri di accesso, accompagnato da un netto superamento dei vincoli di condizionalità (per altro attualmente sospesi per due mesi, come definito dal DL “Cura Italia”). Non c’è ragione alcuna di continuare a burocratizzare la gestione applicativa di questa misura. Così come sarebbe irragionevole perseverare nella volontà di investire diverse decine di milioni di euro nell’acquisto di infrastrutture tecnologiche per l’incrocio domanda-offerta, che in questo momento sarebbero destinate a produrre risultati deludenti. Accanto a una misura capace di assicurare l’autonomia dei soggetti, servono nuovi e avanzati servizi di tutoraggio, orientamento individuale, formazione e riqualificazione professionale; capaci, in primo luogo, di rompere la solitudine e la condizione di spaesamento che già sperimenteranno milioni di persone. Il nostro è un invito a non abbandonare l’impegno a potenziare la rete nazionale dei Centri per l’impiego, che possono diventare presidi per la tenuta sociale del Paese. Questa crisi ci ha fatto comprendere quanto siano importanti le strutture del welfare del Paese: dalla Sanità alla Scuola, fino ai servizi per il lavoro, appunto. Alla luce del Decreto Legge “Cura Italia”, e di quello di aprile già annunciato dal premier Conte, auspicando con forza che istituisca una protezione sociale universale e un potenziamento degli ammortizzatori sociali (ordinari e in deroga), mettiamo subito le nostre competenze a disposizione dei servizi per il lavoro, a partire dall’impegnativo coordinamento operativo che si dovrà realizzare per la gestione dell’estensione delle misure di sostegno al reddito e di integrazione salariale.

Si sente ripetere insistentemente che «nulla sarà più come prima»; non si capisce per quale motivo, allora, le strategie manageriali di ANPAL Servizi debbano rimanere le stesse. Il 26 marzo si è svolta la seduta del CDA di ANPAL, dove il Presidente Domenico Parisi ha illustrato, con poco meno di un anno di ritardo, il tanto atteso Piano industriale 2020-2022 di ANPAL Servizi. Abbiamo appreso che il CDA ANPAL ha deciso di rinviare l’approvazione del Piano, disponendo di procedere subito con la stabilizzazione del personale con contratto a tempo determinato (CTD), già scaduti e in via di scadenza. Rinviata, invece, la seduta del CDA ANPAL Servizi prevista per ieri, 27 marzo. Sempre ieri mattina, Parisi ha reso pubbliche le decisioni del CDA ANPAL, confermando l’avvio delle procedure di stabilizzazione dei CTD. Di quest’ultima notizia, non possiamo che essere felici! D’altro canto, è il primo risultato concreto di una lotta che va avanti da due anni. Quanto è emerso nel CdA di ANPAL del 26 marzo, poi, dimostra l’enorme contraddizione che non abbiamo mai smesso di denunciare in questi lunghi mesi di mobilitazione permanente: non si deve in alcun modo subordinare la procedibilità delle stabilizzazioni dei precari “storici” all’approvazione del Piano industriale di ANPAL Servizi. È paradossale che il Piano industriale, piuttosto che recepire quanto disposto dalla Legge 128/2019, ancora una volta sia stato utilizzato dal Presidente Parisi come strumento per limitarne l’attuazione.

Ciò che non si legge, nelle dichiarazioni stampa del Presidente Parisi, è che la bozza di Piano industriale presentata contiene – salvo modifiche che auspichiamo fortemente – oltre 150 esuberi tra i collaboratori (CIT) in forze; nonché prevede l’assunzione a tempo indeterminato di oltre 50 data scientist, per indefinite e discutibili esigenze aziendali. Alcuna garanzia vi è per la stabilizzazione dei collaboratori “storici”, dovendo questi superare ben due prove di selezione (scritta e orale), affidate a un società esterna. Di più: qualora le esigenze di personale non fossero soddisfatte tramite la platea dei collaboratori, l’azienda si riserva di indire nuove selezioni pubbliche, alla ricerca delle professionalità nel mercato. Si tratta, niente di più, che la reiterazione della stessa strategia più volte esplicitata nell’ultimo anno. Mentre ANPAL Servizi in questa difficile congiuntura dovrebbe essere potenziata, allo scopo di dotare il paese e il Ministero del Lavoro di una organizzazione capace di far fronte alle crisi aziendali e all’aumento della disoccupazione, il top management dell’azienda sembrerebbe procedere come se nulla stesse davvero accadendo in Italia e nel mondo. Se, in generale, la mancata stabilizzazione di tutto il bacino dei 654 precari sarebbe una scelta grave e inaccettabile, nella congiuntura drammatica che ci tocca in sorte la previsione di esuberi è mossa a dir poco irresponsabile.

Ci auguriamo un Suo rapido e risolutivo intervento, e che la giusta pressione scongiuri tale esito nefasto. Siamo convinti che anche questa volta, come in passato, non farà mancare il Suo impegno. Di sicuro – Egregia Ministra – non attenderemo passivamente tali insopportabili sviluppi della vertenza. Se si renderà necessario, saremo pronti a rilanciare la lotta in tutte le forme possibili, affinché l’intera platea dei collaboratori “storici” venga – una volta per tutte – stabilizzata.