Sono lettere di donne resistenti quelle contenute in Portateci nel cuore. Lettere di condannate a morte nella Resistenza europea, a cura di Chiara Meier Colombo, Giovanni Parrella, Ada Perla. Prefazione di Tamara Ferretti, 4 Punte edizioni, pp. 128, euro 13,30). Le ultime da loro scritte dopo essere state condannate a morte per aver partecipato alla lotta partigiana. Lettere provenienti dall’Italia e da altri dieci paesi europei alcuni dei quali non più esistenti: dall’Austria alla Cecoslovacchia, passando, tra gli altri, per Jugoslavia, Belgio e Urss. Messaggi finali raccolti in un volume breve ma intenso che ci offre la testimonianza diretta degli ultimi giorni e delle ultime ore di vita di madri, sorelle, mogli, fidanzate, figlie.

SONO LETTERE in cui le autrici sfruttano il poco tempo rimasto prima dell’esecuzione per accommiatarsi da genitori, figli, compagni di vita e chiedere perdono per il dolore loro arrecato. Lettere insieme struggenti e orgogliose, che esprimono fermezza, la certezza di aver fatto una scelta rischiosa ma giusta. «Ho agito conformemente ai miei princìpi. Non è una morte triste quando si ha questa consolazione. Credo di essermi sempre comportata degnamente», si legge in una di esse scritta da una resistente belga.

In nessuno dei documenti riprodotti nel libro c’è traccia di ripensamento, di rimpianto per la scelta fatta; c’è invece l’affermazione dell’amore per la vita e l’orgoglio più che la consolazione per averla sacrificata alla causa della libertà: «Sono morta per attestare che si può amare follemente la vita e insieme accettare una morte necessaria», scrive un’altra.

Amore per la vita, dispiacere di lasciarla, di prendere congedo dai propri cari e soprattutto di dar loro dolore. Dispiacere, ma anche coraggio e dignità che, pure, sono la costante di queste lettere. Donne arrestate dalla Gestapo, magari per una spiata, rinchiuse, a lungo interrogate, torturate. Donne che nemmeno i mezzi più brutali sono riusciti a far parlare e a denunciare compagni e compagne di lotta. Hanno pagato caro per questo, mantenendo fino all’ultimo un attaccamento alla vita, quella vera, piena di senso e di passione. «Oggi, 26 marzo 1943, alle sei e mezzo di sera, due giorni dopo aver compiuto il mio ventiduesimo anno di vita, trarrò l’ultimo respiro. Eppure respirerò fino all’ultimo momento. Vivere e credere. Ho sempre avuto il coraggio di vivere, non lo perderò, neppure faccia a faccia con quella che, nel linguaggio degli uomini, si chiama morte».

È UN INVITO a non disperare, ma come in tutti gli altri messaggi è anche la richiesta a chi rimane di ricordare. Ricordare Marie, Eva, Fernande, Herta, Ludmila, Sarah, Hilde, Dìmitra, Paola (Mirka), Ivanka, Esther, Olga, Irina e le altre. Più quelle di cui non conosciamo il nome. E, insieme alle lettere, il libro riporta anche i messaggi sui muri delle celle dove le resistenti erano recluse; alcuni, scritti con il sangue di chi era stata appena «interrogata» dagli sgherri della polizia segreta nazista, autentici macellai. Muri che raccontano ultimi istanti di vita nelle prigioni dell’ex Urss, in quella di Fresnes, a Parigi e nelle celle della sede della Gestapo, a Varsavia dove, tra i diversi messaggi si legge: «Dalle nostre torture dalle nostre sofferenze nasca una migliore Polonia. La Polonia popolare».

LE NUMEROSE testimonianze contenute nel volume sono introdotte da quella di Settimia Spizzichino, deportata ad Auschwitz in seguito al rastrellamento del Ghetto di Roma e sopravvissuta al lager. Settimia si è spenta nella sua città natale nel 2000 e fino all’ultimo ha comunicato con le nuove generazioni per tenere viva la Memoria, il ricordo delle vittime degli orrori del passato e del presente, di chi si è impegnato e di chi si impegna ancora per combatterli. Da loro, una sola richiesta: «Portateci nel cuore!».