Sebbene ci sia una grande tradizione di circo, in Italia è stato relegato nei parcheggi di periferia, sempre più aderente all’immaginario di nomadismo che a quell’epifania di cui parlava Fellini. Perché da noi lo si associa unicamente a clown, saltimbanchi e animali in gabbia. Se nel resto d’Europa esistono centinaia di compagnie con una tradizione artistica che girano per teatri e chapiteau, che si incontrano per discutere delle normative che regolamentano gli spettacoli, in Italia siamo ancora all’anno zero. Il circo una volta apriva il proprio strano mondo direttamente nel cuore delle città, nelle piazze sotto casa, dove lo chapiteau permetteva a tutti di confrontarsi con una cultura anomala. Spazi di cui si sta riappropriando la compagnia El Grito, una delle poche compagnie italiane di circo contemporaneo orientate alla sperimentazione artistica, per far conoscere nel nostro Paese un circo diverso, con una funzione sociale e legato ai contenuti.

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Così la stravaganza circense ha incontrato la letteratura: Giacomo di El Grito ha creato con Wu Ming 2 lo spettacolo Piccolo circo magnetico libertario, sulle tracce de L’armata dei sonnambuli. Non è la presentazione di un libro, non è una serata al circo sotto al tendone, ma è qualcosa di unico, completamente nuovo nello scenario artistico, in cui il numero acrobatico va di pari passo con il messaggio.

Il circo ha una coreografia e una regia, ma cosa c’entra la letteratura?

WM2: La nostra attitudine è quella di raccontare storie con tutti i mezzi possibili. A me il circo non sarebbe mai venuto in mente se non avessi conosciuto Giacomo e El Grito. La base di riferimento in Piccolo circo magnetico libertario ce l’ha data uno spettacolo che avevamo eseguito con il mentalista Mariano Tomatis. Il nostro ultimo romanzo parla di magnetismo animale, ipnosi, suggestione e, come accaduto con Tomatis, si poteva trovare il modo di incrociare letture del libro e numeri di magia e illusionismo. Questo è stato un po’ il canovaccio, senza però incollare la letteratura sopra un altro genere di espressione; sia chiaro: non abbiamo agito come lo scrittore che legge i suoi testi e i musicisti di sottofondo.

Giacomo: Il circo contemporaneo è nato dalla sintesi di diversi linguaggi, la multidisciplinarietà è una sua prerogativa. Solitamente, si esprime attraverso un linguaggio di tipo non verbale con il compito di evocare piuttosto che descrivere o raccontare una storia. Il Piccolo circo magnetico libertario non trae semplicemente ispirazione da un opera letteraria, ma ne porta in scena il suo autore tra colpi di pistola e acrobazie magnetiche. È un esperimento di circo e letteratura in cui l’autore del libro, matrice del significato, diventa significante.

Come si può avvicinare un pubblico che, soprattutto in Italia, non è abituato a un circo concettuale?

WM2: Quanto avviene nel numero non è didascalico al reading, il numero di circo ha lo stesso tema, ma non è un gioco in cui uno illustra dell’altro. Fondamentale è stato calibrare i tempi delle letture: ci siamo resi conto che il potenziale non sta nella presentazione di un libro spettacolarizzata, ma in uno spettacolo ispirato, tanto che, in fin dei conti, potrebbe anche non esserci il romanzo.
Giacomo: Nonostante ci sia una componente concettuale, il nostro resta un circo contemporaneo «all’antica», autenticamente popolare, le cui proposte sono adatte a ogni genere di pubblico. Per i suoi forti esperimenti di mesmerismo in questo caso lo spettacolo è sconsigliato ai minori di 14 anni, ma si rivolge sia al pubblico attratto dalla letteratura di Wu Ming, che a quello spettatore che, ancora oggi, in Italia è affascinato dalla piazza che di notte diventa circo. Al di là del suo valore concettuale, per noi la pista circense deve essere una terra lontana, una bolla temporale all’interno della quale ci si ritrova in un paese straniero.

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Non c’è il pericolo di disattendere le aspettative?

Giacomo: Credo che con il Piccolo circo magnetico lo spettatore abbia la libertà di scegliere se fermarsi ad un primo grado, e godersi le immagini surreali e i virtuosismi circensi, oppure se scendere in profondità nel racconto, nel suo significato».

WM2: Bisogna evitare uno spettacolo troppo incongruo al contesto in cui ti trovi, magari un po’ strano ma non una cosa completamente altra. Non si può disattendere la spettacolarità che impone un tendone da circo.

Non passare per delle categorie già conosciute non vi pone dei freni nella costruzione dello spettacolo?

Giacomo: Per niente, anzi. Il fatto che in scena a rischiare la pelle ci sia Wu Ming 2 che, diciamocelo, non è propriamente un circense doc, si fa più interessante proprio in quanto rottura degli schemi. Se ci fosse un attore non funzionerebbe».
WM2: Il valore in più è che lo scrittore si fa sparare addosso e spara a sua volta, c’è una sua drammaticità viva, rafforzata dall’accerchiamento del pubblico.

Ne «L’armata dei sonnambuli» siamo a Parigi, sotto il Regime del Terrore della Rivoluzione francese, e ci sono due praticanti di mesmerismo: cosa avete rappresentato?

WM2: Uno di questi è un rivoluzionario che crede che mesmerismo, suggestione e proto ipnosi possano aiutare la rivoluzione stessa e le sue cause. L’altro invece è un controrivoluzionario che vorrebbe lo stesso strumento al servizio del potere, per dar vita a un esercito di soldati invincibili. Un po’ come ogni tecnologia. Le letture riguardano diversi aspetti del magnetismo, per esempio a quei tempi si era convinti che un individuo magnetizzato diventasse più forte fisicamente e, nello spettacolo, questa credenza viene associata a un numero che riguarda la forza fisica… è così che mi ritrovo con un coltello sopra la testa».
Giacomo: In scena ci sono dei circensi che si sottopongono ad esperimenti di mesmerismo. Dobbiamo però capirci bene: non è magia con il trucco, ma si tratta di esercizi di concentrazione. C’è il rituale dell’ipnosi collettiva e l’acrobatica aerea di una donna in trance. E c’è uno scrittore che mentre legge si fa sparare addosso tenendo dei bersagli per poi, da vittima, diventare carnefice. Tutto è capovolto.

Il mesmerismo applicato è una buona quanto triste metafora della società: la facilità di essere ipnotizzati…

WM2: Ad un certo punto, con una serie di esercizi, mesmerizzo il pubblico… Attenzione però, ci si può opporre all’ipnosi collettiva, fondamentale è l’intenzionalità a concedersi. Molto spesso la nostra è servitù volontaria, come diceva La Boétie noi la scegliamo perché, chi ci asservisce, magari ci promette qualcosa in cambio. In altre parole lo spettacolo invita a chiunque si senta asservito a ragionare su quanto, almeno all’inizio, sia stato complice, di quanta consapevolezza c’era e che cosa sperava di ottenere in cambio da quella cessione di volontà. C’è molto mesmerismo nella società.
Giacomo: Il pubblico si presta all’ipnosi perché sa che è in un contesto giocoso, in un certo senso è come se ci fosse un atto di fiducia verso di noi, ma a pensarci bene è la stessa fiducia che viene data all’istituzione e all’autorità costituita. Questo spettacolo è un invito a prendere coscienza sul proprio stato di libertà.

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