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Letteratura, passione rock

Letteratura, passione rockI Cure (foto AP)

Storie/Artisti e band che per i loro brani hanno tratto ispirazione dai grandi classici, e non solo Quando il leader dei Cure, Robert Smith, fu stregato dal libro «Charlotte Sometimes», da poco pubblicato anche nel nostro paese. E se gotico e fantasy sono tra i generi più amati c'è spazio per l’esoterismo dei Led Zeppelin. L’attrazione di Bowie per «1984» di Orwell

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 20 aprile 2024

All’alba degli anni Ottanta i Cure furono tra le band più influenti della scena nata sulle ceneri della fiammata del punk inglese di qualche anno prima. Oggi assieme a Siouxsie and the Banshees, Bauhaus e Joy Division vengono indicati come i patriarchi di un genere chiamato goth rock. Ogni etichetta musicale alla fine lascia il tempo che trova, ma la definizione di «rock gotico» ha curiose implicazioni letterarie. I suoni cupi, malinconici, le atmosfere spesso introverse e riflessive dei primi album della band di Robert Smith e delle altre formazioni di quell’era post punk, li fecero assimilare allo stile di molta letteratura settecentesca e ottocentesca anglosassone che prendeva le mosse dalla vena più cupa del romanticismo e smarginava in scenari che oggi definiremmo horror. Il primo romanzo che viene oggi classificato come «gotico» (termine a quanto pare coniato dal Vasari per definire un’arte barbarica) fu Il Castello di Otranto del 1764 dello scrittore londinese Horace Walpole, non ambientato tra le opprimenti brume nordiche, ma nell’assolata Puglia medievale dove si consuma una vicenda che unisce mistero, intrigo e amore. Sarà l’inizio di un genere narrativo le cui fortune non si sono mai concluse e che vedrà tra i protagonisti autori come William Thomas Beckford (Vhatek), Edgar Allan Poe (Il pozzo e il pendolo, Il corvo), Robert Louis Stevenson (Dr. Jekyll e Mr. Hyde), Bram Stoker (Dracula), John Polidori (Il vampiro), H.P. Lovecraft (Il richiamo di Cthulhu) e che diede per la prima volta grande spazio ad autrici donne come Mary Shelley (Frankenstein), Clara Reeve (Il vecchio barone inglese) o Ann Radcliffe (I misteri di Udolpho).
COLLEGAMENTI
Le stagioni del rock hanno spesso inattesi collegamenti romanzeschi. Le prime goth band eccedevano in atmosfere cupe, espresse attraverso suoni scanditi da accordi in minore e pesanti giri di basso, riverberi, tastiere di sottofondo e voci angeliche o baritonali che sembravano provenire da una coltre di nebbia e un immaginario spesso derivato dalla letteratura. Robert Smith dei Cure ha citato tra i suoi libri preferiti Il corvo di Edgar Allan Poe e tra i suoi autori di riferimento Kafka, Rimbaud, Baudelaire fino a Sartre e Camus. Ma un romanzo chiave per capire l’universo artistico della band inglese è Charlotte Sometimes di Penelope Farmer che per la prima volta viene edito in versione italiana per la collana Bizarre OFF dall’Agenzia Alcatraz e con la traduzione di Stefania Renzetti.
I Cure pubblicarono la canzone Charlotte Sometimes come singolo nell’ottobre del 1981. Il brano, che non faceva parte di nessun album, rappresentò un passaggio importante tra Faith e Pornography, dischi che segnarono la definitiva consacrazione della band britannica. Il pezzo rendeva omaggio a un libro pubblicato nel 1969 e firmato da una schiva autrice inglese specializzata in letteratura per ragazzi e lontanissima dal mondo del rock. Il romanzo è una favola fantasy incentrata sull’idea della doppia identità. Una giovanissima protagonista, la Charlotte del titolo, è appena entrata in un collegio e scopre che ogni notte, come in un sogno, si trasfigura in una sua coetanea vissuta decenni prima al tempo della prima guerra mondiale. Le due iniziano a vivere una vita condivisa, uniscono le loro esistenze senza incontrarsi mai e corrispondendo solo attraverso delle pagine di diario. L’incipit del libro («Era l’ora di andare a dormire, e per Charlotte tutti i volti e le voci si erano dissolti in un solo volto, una sola voce») si trasforma nei versi della canzone: «Tutte le facce/Tutte le voci si confondono/Cambiano in una faccia/Cambiano in una voce». Ha raccontato il leader dei Cure: «Sono sempre stato ossessionato da Charlotte Sometimes, da questa idea di caduta temporale, di dualità, di problemi di personalità e della tortura che ne consegue. Charlotte, dopo la sua prima notte in collegio, si risveglia, 40 anni indietro e in un altro corpo. Questo si collega al tema dei gemelli, su cui Penelope Farmer ha scritto un libro affascinante (“Two, or, the Book of Twins and Doubles”, Farmer era nata con un parto gemellare, ndr). Ho sempre sognato di avere un gemello. Qualcuno che non si può ingannare, che sarebbe sempre lì, come uno specchio».
VIE LEGALI
Il 45 giri Charlotte Sometimes sul lato b aveva un brano strumentale, Splintered in Her Head, ugualmente ispirato al romanzo. Tuttavia quando uscì, entrando in classifica in Inghilterra, la Farmer ne ignorava completamente l’esistenza. Nell’appendice dell’edizione italiana del libro l’autrice stessa racconta lo strano rapporto con una canzone che ha segnato la fortuna della sua opera. Fu la figlia a informarla di quel disco e una volta ascoltatolo, la scrittrice, completamente aliena al mondo del post punk, invece di considerarlo una lusinga pensò di adire le vie legali. Questo per fortuna non avvenne anche perché l’editore si era accorto che il libro, grazie alla hit dei Cure, era continuamente richiesto dalle librerie e stava trovando una nuova generazione di lettori. La storia ebbe un lieto fine con Penelope che incontrò Robert Smith a un concerto londinese del 1996 (il primo a cui l’autrice avesse mai assistito) e lui che le porse la sua copia del libro, gualcita, annotata e sottolineata, per un autografo con dedica. «Mio fratello maggiore ci leggeva sempre qualcosa, prima di andare a dormire – disse in quell’occasione il cantante – io avevo circa dodici anni e lui ci leggeva ancora i libri. Il suo era tra quelli, e non l’ho mai dimenticato. Quando ho iniziato a fare musica, ho voluto scriverci una canzone. È andata così». Quel concerto si concluse sulle note di Charlotte Sometimes e Smith presentò al pubblico la Farmer che ricevette una standing ovation. Per una notte i ruoli della rockstar e della timida scrittrice si erano magicamente capovolti, proprio come in una favola.
Tra rock e letteratura il rapporto è stato spesso assai poco organico e talvolta addirittura idiosincratico. Non fanno testo (il gioco di parole è voluto) le imprese dei Rock Bottom Remainders, fantomatico supergruppo di cui hanno fatto parte diversi scrittori di bestseller tra cui Stephen King e Scott Turow e che, per loro stessa ammissione, facevano musica come i Metallica scrivevano romanzi. L’universo artistico pop e rock’n’roll ha tenuto frequentemente un atteggiamento, convinto o solo di facciata, di rottura con la cultura ufficiale e questo ha comportato anche un certo rigetto per la cultura letteraria. Il più delle volte miti e protagonisti del mondo dei libri sono filtrati nell’immaginario musicale attraverso il cinema, è il caso delle tante riletture del mito di Frankenstein, visto però più come il mostro interpretato da Boris Karloff che la creatura descritta da Mary Shelley (vedi Alias del 31 marzo 2018). Tuttavia i due universi hanno trovato anche importanti punti di contatto, proprio come nel caso di Charlotte Sometimes.
ARRIVA SATANA
Uno dei casi più significativi, anche se forse meno riconosciuto, è quello di una delle canzoni più celebri dei Rolling Stones, e della storia del rock, Sympathy for the Devil. Era la traccia di apertura dello storico album Beggars Banquet del 1968 e venne letto all’epoca come un inno incendiario che, come il singolo tratto dallo stesso album Street Fighting Man, incitava alla violenza e alle rivolte giovanili. «Permettete che mi presenti. Sono un uomo ricco e con gusto» recitano i primi versi del pezzo. L’uomo in questione è il diavolo, il grande burattinaio della storia, presente accanto a Ponzio Pilato così come ai boia dei Romanov. La canzone firmata da Mick Jagger e Keith Richards, ma in realtà frutto della fantasia del primo, era basata su uno dei casi letterari di quegli anni, il romanzo Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Nelle prime pagine del libro Satana si presenta con un vestito di «gran prezzo» e asserisce, come nella canzone, di essere stato testimone del processo a Gesù. In pochi ai tempi colsero i parallelismi. L’autore del romanzo era morto da più di vent’anni e la prima edizione inglese era uscita da pochi mesi e menomata da diversi tagli (la prima versione integrale uscirà proprio in Italia per Einaudi). Jagger che aveva letto il libro su suggerimento di Marianne Faithfull, racconterà questa suggestione in un’intervista nel documentario Crossfire Hurricane del 2012: «L’ispirazione furono Baudelaire e Il maestro e Margherita, se il personaggio di Jumpin’ Jack Flash passa attraverso i tormenti riuscendo a uscirne, il protagonista di Sympathy for the Devil è molto più complesso perché è provocatorio e contiene anche tutta la violenza di quell’epoca».
NUOVE FRONTIERE
Alla fine degli anni Sessanta la psichedelia apre nuove frontiere nello scenario creativo musicale. I Jefferson Airplane rileggono nel loro brano più celebre, White Rabbit, Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll come una favola lisergica: «Una pillola ti fa diventare più grande/e una pillola ti rimpicciolisce/e quelle che ti dà tua madre/non hanno alcun effetto/prova a chiederlo ad Alice, quando è alta tre metri». Carroll compariva anche sulla copertina di Sgt. Pepper’s dei Beatles, anch’essi all’epoca dediti a sperimentazioni con l’LSD. Il brano Lucy in the Sky with Diamonds, oltre a nascondere nel titolo il riferimento all’acido lisergico, si ispirava al racconto Attraverso lo specchio, il seguito delle avventure di Alice, scritto da Carroll nel 1871. John Lennon era particolarmente affezionato a quel libro che gli ricordava l’infanzia. A suscitargli quel ricordo, fu un disegno fatto all’asilo dal figlio Julian. «Immaginati su una barca su un fiume/Con alberi di mandarino e cieli di marmellata» canta John, riprendendo il passo della favola in cui Alice si trova improvvisamente su una barca in compagnia di una pecora. Nel rock si erano aperte «le porte della percezione». Una citazione poetica da Il matrimonio del cielo e dell’inferno di William Blake del 1790 che ispirerà gli studenti di Ucla Jim Morrison e Ray Manzanek a scegliere il nome della loro band, The Doors. Il loro omonimo primo album, datato 1967, è denso di citazioni e stimoli poetici e letterari, da Sofocle a Rimbaud, da antiche leggende celtiche a Bertold Brecht. Ma il brano più letterario del disco è End of the Night, una ballata che sembra anticipare le atmosfere goth rock degli anni a venire e che fa incontrare William Blake e Louis-Ferdinand Céline. «Take the highway to the end of the night/take a journey to the bright midnight» («Prendi la strada verso il termine della notte/inizia un viaggio verso la mezzanotte splendente»). Morrison scriveva pensando al capolavoro di Céline Viaggio al termine della notte, lucido delirio autobiografico, poetico e crudele, sulla civiltà del Novecento. Morrison si trovò in sintonia con il profondo disagio e lo spirito anarchicamente libero dello scrittore francese, che era morto pochi anni prima. «Céline è stato creato da dio per dare scandalo» si disse all’epoca della prima pubblicazione del romanzo avvenuta nel 1932. Una frase che si adattava perfettamente anche a Jim Morrison che nel dicembre del 1967 venne arrestato sul palco a New Haven nel Connecticut per atti osceni in luogo pubblico. Il ritornello di End of the Night è però un tributo a Blake: «Alcuni sono nati per la dolce delizia/altri sono nati per la notte senza fine». Si fa riferimento a Auguries of Innocence di Blake, tratto dalle sue Songs of Innocence. Gli anni Sessanta erano un viaggio al termine della notte, in bilico tra innocenza e corruzione, un decennio di sogni e speranze scandito da guerre e violenze.
UN RIFUGIO
Per alcuni artisti la risposta fu il fuggire dalla realtà e tuffarsi nella fantasia romanzesca. Syd Barrett guidò i suoi Pink Floyd in scenari surreali e intitolò il primo album della band The Piper at the Gates of Dawn (Il pifferaio alle porte dell’alba) con un’immagine tratta dalla favola agreste Il vento tra i salici dello scrittore inglese Kenneth Grahame. I Led Zeppelin scelsero l’esoterismo, la mitologia e la letteratura fantasy e per le canzoni Ramble On, Battle of Evermore e Misty Mountain Hop si immersero nella saga del Signore degli anelli di J.R.R. Tolkien, pubblicata per la prima volta negli anni Cinquanta in Gran Bretagna e che dalla fine degli anni Sessanta stava vivendo la sua prima grande riscoperta da parte di un pubblico giovane. Ramble On è la prima canzone rock in cui compare la figura di Gollum. L’immaginario di Tolkien venne poi ripreso da band dell’ambito progressive e metal come Black Sabbath, Rush e Blind Guardian.
La letteratura distopica entrò nel mondo della musica con David Bowie che all’inizio degli anni Settanta avrebbe voluto realizzare un musical basato su 1984 di George Orwell. Il lavoro fu bloccato dalla mancata autorizzazione della vedova dello scrittore, Bowie fece però convogliare alcune delle idee concepite per quel progetto nell’album Diamond Dogs tra cui i brani 1984 e Big Brother. La fattoria degli animali dello stesso Orwell ispirò i Pink Floyd per il loro Animals. Mentre altri capolavori distopici come Il mondo nuovo di Aldous Huxley o Il signore delle mosche di William Golding hanno fatto la loro comparsa in brani di Iron Maiden (Brave New World, Lord of the Flies), U2 (Shadows and Tall Trees) e The Strokes (Soma). La letteratura di denuncia sociale tornò nel rock con Bruce Springsteen e il suo The Ghost of Tom Joad del 1995 ispirato a Furore, il romanzo del 1939 sui vinti della grande depressione di John Steinbek. Ma il fascino del gotico è rimasto: Sting in Moon over Bourbon Street si ispirò a Intervista col vampiro di Anne Rice. Lou Reed dedicò nel 2003 The Raven, uno dei suoi lavori più ambiziosi, a Edgar Allan Poe. Un concept album tra narrazione e musica con un cast di ospiti d’eccezione: David Bowie, Steve Buscemi, Willem Dafoe, Ornette Coleman.
IN ITALIA
Anche la musica italiana ha i suoi riferimenti letterari. Fetus concept del 1972 di Franco Battiato era ispirato a Il mondo nuovo di Huxley, dove si descrive una realtà in cui la nascita è un processo di laboratorio. In Non al denaro, non all’amore né al cielo Fabrizio De André musicava l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Ricco di riferimenti romanzeschi il repertorio di Vinicio Capossela in particolare l’album Marinai, profeti e balene dove compaiono i viaggi di Ulisse e gli anti-eroi marinareschi di Conrad e Melville. Francesco Guccini ha scritto Don Chisciotte, Cirano, Gulliver e Signora Bovary, ma forse il suo brano letterario più personale è Van Loon in cui richiamava il ricordo di suo padre attraverso l’opera di un curioso scrittore, Hendrik Willem van Loon, che nella prima metà del Novecento pubblicava libri ironici e divulgativi tra cui una celebre dissertazione sulla geografia. Gli Afterhours hanno citato l’opera del giallista Scerbanenco ne I milanesi ammazzano il sabato. Per finire tre artisti che hanno diviso e dividono la loro carriera tra musica e insegnamento. Roberto Vecchioni, per anni docente liceale e universitario, si è fatto suggestionare da Dumas (Montecristo e Milady) come da Defoe (Robinson). Manzoni, Verga e Calvino sono stati protagonisti delle liriche del rapper Murubutu, professore di filosofia e storia a Reggio Emilia. Galoni, docente di lettere a Velletri, ha composto Non devi aver paura di niente ispirandosi a La strada di Corman McCarthy.

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