La vita è sogno titola Calderòn de la Barca 1635, e Calderòn Pasolini 1967. «Rosaura: Dove sono? – Stella:Sei sul tuo letto. – Rosaura: Non l’ho mai visto prima di adesso. E tu chi sei? – Stella: Sono tua sorella». Spesso davanti ai fatti ultimi della vita ti chiedi se è sogno o realtà… Domenica 12 agosto a mezzogiorno ero in bici in paese per comprare giornale e pane. Il cellulare suona, io rispondo mentre ancora vado: «Sono Salvatore». Giuli mia figlia dalla Sardegna mi aveva appena parlato della sua malattia incurabile scoperta a luglio e gli aveva dato il mio cellulare. Gli dico subito che deve lottare: « La vita è lotta, tu Salvatore lo sai bene». Lui mi risponde: «Sì, lotterò…».

 

Non riconoscevo la voce, da tanto non ci sentivamo e il cellulare deforma. Io aggiungo: «Devi lottare, fallo per continuare il tuo teatro» – Lui ha lottato tutta la vita per il suo teatro – «Ti voglio ancora in un mio film!» – Pensavo al mio secondo film con Huppert, fine prossimo anno forse. Lui mi risponde: «Considerami a tua disposizione». Poi alla fine lui: «Per me tu sei un padre». È Salvatore Cantalupo, Sasà, attore napoletano di teatro, cinema, (il sarto di Gomorra,sottolineano tutti) e fiction, mio attore in Appassionate (1999), profondamente legato a teatro e cultura napoletani di cui ha ripreso le voci più innovative. «Ho conosciuto e riconosciuto la Napoli di Totò, dei De Filippo, di Viviani – ha detto – Oggi ’o malamente’ addiventa buono, la città è cambiata. La gente ha perso un poco della sua grazia».

 

Nel pomeriggio ho pensato che avrei potuto andare a Napoli a filmarlo, seguendolo per le vie del centro storico che mi guidava, senza una parola, già che lui in teatro era per il togliere. La sua chiamata è stata domenica a mezzogiorno. Il giorno dopo, lunedì 13 agosto, al mattino Giuli mi dice che è morto, 59 anni (il 14 è crollato il ponte di Genova).

 

Giuli l’ha ritrovato al festival dei Tacchi del Cada die Teatro nell’Ogliastra, lei aveva Arianna e Teseo. Salvatore con la Sardegna ha avuto un amore a prima vista. Risale al 1985 la sua partecipazione al festival di teatro internazionale di Sant’Anna Arresi. Allora Sasà faceva parte del Teatro dei Mutamenti di Antonio Neiwiller. Presentavano Titanic the end da H. M. Enzensberger oltre a fare un laboratorio teatrale. La vista di un nuraghe gli ispirò la prima azione teatrale, Nuraghe, grazie al festival proprio nello stesso luogo ispiratore.

 

Da allora ha continuato ad appassionarsi all’archeologia e alla cultura sarda. Dal 2014 era entrato nel Teatro del Sottosuolo di Carbonia, di Vincenzo de Rosa e Chiara Giuliani, curava la direzione artistica del gruppo di laboratorio Memini Mutamento Teatro, un ponte tra Napoli e Sardegna. Ora al Festival a Jerzu partecipava con un laboratorio per gli allievi della compagnia organizzatrice, esito scenico finale; in più lo spettacolo Quegli Angeli Tristi, azione n. 9, dai diari di Tarkovskij raccolti in Martirologio (1970-86). Nel 1986 l’ultimo grande artista della tradizione russa, provato dalla malattia, finisce Sacrificio e muore esule a Parigi a 54 anni (adesso anche Salvatore ha avuto morte prematura per cancro). I diari raccontano del tormentato percorso di Tarkovskij nella ricerca della libertà tra ristrettezze economiche e difficoltà di resistere al mercato. In esilio il poeta-profeta scrive al figlio che cresce lontano: «L’uomo non è stato creato per essere felice, vi sono cose ben più importanti della felicità. Le cose fondanti nella vita sono l’amore, la fede e la speranza nell’uomo». Salvatore ci ripropone questo credo accanto a citazioni da Joyce e Meyrink. Ritratto di artista da giovane di Joyce allude alla fatica dell’artista, alla sua sofferenza.

 

Caro Salvatore, ti mando l’inizio del film in cui ti vorrei, la Commedia umana a Napoli da Balzac. Tu sei il Barone, figura leggendaria con grandi feudi nel sud Italia, ma vivi poverissimo nel palazzo avito. Ti seguiamo da una stanza all’altra. Da una finestra osservi il flusso dei turisti che vanno in strada. Vivi solo, viene soltanto una donna anziana ad accudirti. È il tramonto e tu dici: «La vita è importante viverla anche solo per vedere tramontare il sole».

 

Al’alba ti affacci ad altra finestra: «È bello vivere per veder sorgere il sole». Tu, il Barone, hai il tuo sorriso speciale sulle labbra, che hai solo tu.
Interrompo qui, la mia è «lettera a chi non può più rispondere!». Leggo l’ultima intervista di Salvatore, grazie al cugino Vincenzo de Rosa: «Sono stato allievo di Antonio Neiwiller, gli debbo la mia formazione artistica e culturale. Lui è ancora oggi per me fonte di grandi ispirazioni, nonostante i 25 anni dalla sua dipartita. Il mio studio su Tarkovskij iniziò nei primi anni ’90 quando il mio maestro progettò la trilogia della vita inquieta: Pasolini, Majakovskij e Tarkovskij. Dopo la messa in scena dello spettacolo dedicato a Pasolini (Diritto all’inferno, 1991) e la prova generale di quello di Majakovskij (Canaglie, 1992), Neiwiller malato non potè più lavorare. Intanto lo studio su Tarkovskij era cominciato e Antonio aveva lasciato in me ’ispirazioni’. Quegli Angeli tristi Azione N.9, prodotto dal Teatro del Sottosuolo, applica il codice improvvisazione di Richard Schechner all’interno di una rigorosa struttura. La performance è quindi viva e in continua evoluzione».

 

 

Salvatore è nato nel luglio 1959, Cancro. Nella sua famiglia è il maggiore di quattro figli; da pochi mesi è morta la sorella Mariella, restano Gerardo e Filomena. Il padre Luigi morì quasi 18 anni fa, era stato da giovane per 22 mesi sull’Amerigo Vespucci. Dopo un anno morì la madre Girella Rotondo, donna estremamente dolce. Io ho amato Salvatore come un grande esploratore del profondo che stava in disparte rispetto a chi mirava al centro. Non amava il potere e si rivolgeva ai giovani, la nostra salvezza.

 

Caro Salvatore, riprendo la mia lettera. Ti voglio bene. Te lo dico perchè io riconduco tutto in primis alla sfera affettiva. La tua chiamata al cellulare è stata per me come un testamento, vale tutta la vita e oltre. Torna! Come in Appassionate tu sei per me il revenant, colui che ritorna e non solo colui che salva, come dice il tuo nome (tu, Sud, hai salvato me, Nord). Sorridi ancora in quel tuo modo serio e dolce. So che risponderai e tornerai. La vita è solo una serie di ritorni. Come già in Appassionate, fine secolo, fine millennio, fine… So che non c’è fine di nulla.

Scrivo di nuovo sul «Manifesto» per dire chi scompare. Sono Tonino De Bernardi, piemontese che fa cinema. Ma che cinema? Trent’anni fa, Viaggio a Sodoma premio pari merito con Godard al World Wide Video festival Den Haag 1988. Ne avrei di cose da dire su cinema e vita, presente e futuro. Nel viale delle rimembranze aggiungo ancora Giovanna Puggioni (cinema sperimentale a Paris dopo aver lasciato Genova con Christian Lebrat) e Angela Kirsten (danzatrice tedesca che Massimo Bacigalupo ha incontrato a New York e portato sposa a Rapallo), mie attrici in Donne super 8, 1980-82, e Giovanni Rovei, coltivatore diretto di Casalborgone. È la Commedia Umana di Balzac.

Salvatore l’ho incontrato a Napoli per Appassionate, fine millennio, mio secondo (dopo Elettra 1987) e finora ultimo lungo di produzione regolare (monto un film irregolare ogni anno). Lino Fiorito, pittore di New York e Tokyo e scenografo del film, quanto mi portò allora sulla sua lambretta in giro ad esplorare Napoli! Eravamo gli unici nel centro con casco.

Il film mostra un pugno di vite sull’onda inesausta delle canzoni napoletane. Salvatore è Oreste (dal figlio matricida di Elettra), diviso tra l’amore di Caterina, Galatea Ranzi, e quello di Teresa la sposa, mia figlia Giulietta. Caterina-Galatea gli spara sul sagrato della chiesa appena sposato e lui diventa il revenant per tutto il film. Torna ora dall’una, ora dall’altra – Nun chiagnere più… – sussurra. Lui ha lavorato anche con Martone e Servillo tra i molti altri. Con me è pure in Rosatigre (2000). Con lui io e la mia famiglia abbiamo condiviso case e amici. Ciao Salvatore!