Cara redazione del Manifesto,

scriviamo in merito all’articolo L’emergenza umanitaria del lavoro sessuale, in cui appaiono affermazioni che ci si aspetterebbe da chi rappresenta il peggior capitalismo neoliberista disumanizzante, ma che, lette su un giornale come questo, impongono una serie di domande urgenti e altrettante risposte.Rivendicare come lavoro la prostituzione, come soluzione a ingiustizia, disoccupazione, disperazione, discriminazione ed emarginazione causate da immigrazione, irregolarità, povertà e diversità, quando si tratta della vendita di accesso al proprio corpo a chi ha i mezzi per acquistarlo e trae piacere dal potere, dall’umiliazione e dal controllo su di esso, è una affermazione molto grave.

Cancellare la caratterizzazione di genere della prostituzione, e parlare di lavoratori e lavoratrici quando è noto che le strade e le case della prostituzione sono nella stragrande maggioranza piene di donne e ragazze, anche minorenni, significa scrivere su cose che non si conoscono.

Citare dati sul mercato parlando di un indotto di 3,9 miliardi a proposito dell’acquisto di accesso e uso sessuale di corpi, come se si trattasse di una merce qualunque, e parlare di libera scelta cancellando dal quadro manipolazione, rischio, traumi e la sostanziale mancanza di una reale libera scelta è inaccettabile, in quanto si trascura completamente la tratta, che costituisce una delle modalità di accesso alla prostituzione insieme a povertà e violenza.

Inoltre, si cancellano i racconti delle sopravvissute, comprese quelle fuoriuscite dai bordelli legali in paesi che hanno regolamentato o decriminalizzato lo sfruttamento della prostituzione e che raccontano ben altra realtà da quella che voi date addirittura per scontata. E’ un discorso da cui vengono cancellati completamente i veri responsabili di questo mercato, ovvero gli uomini che pagano, svilendo anche la legge Merlin, ridotta a una sorta di provvedimento incompleto su ciò che quella legge mai riconosce, giustamente, come lavoro.

L’idea di società e di lavoro che sembrerebbe sostenere il vostro giornale sarebbe quindi la normalizzazione e la regolamentazione di una delle forme estreme e più barbare di disuguaglianza, violenza e sfruttamento? Ci preme chiarire che la normalizzazione del sistema della prostituzione si situa all’incrocio tra gli interessi di dominio sulle donne del patriarcato contemporaneo e quelli del capitalismo globale, e porta guadagni enormi all’industria del sesso e a chi ne detiene le fila, per la maggioranza uomini. Allo stesso tempo offre agli uomini disponibilità di corpi da usare a proprio piacimento, in un ciclo che va a sostenere e alimentare la cultura del razzismo, del sessismo, della violenza maschile contro le donne e dell’ingiustizia sociale.

Chiamando lavoro la prostituzione, in altre parole, si diffonde una narrazione tossica che alimenta il sistema d’ingiustizie che si dichiara di voler combattere: un fallimento politico e umanitario. Approfittare della crisi legata al COVID 19 per definire ancora una volta come lavoro il subire violenza sessuale facendo passare le donne per consenzienti e senza avere un quadro realistico della situazione non è, secondo noi, la strada per affermare il diritto a mezzi dignitosi di vita.

Quello che occorre invece è ciò che non viene mai nominato: l’apertura di vere e reali alternative per tutte le persone coinvolte nella prostituzione volte però a uscire da questo mercato, a maggior ragione in un momento di ulteriore impoverimento e difficoltà come quello presente. Il movimento internazionale delle sopravvissute da anni denuncia la brutalità dell’industria del sesso e della prostituzione nonché la violenza della retorica neoliberista sulla “scelta” di prostituirsi, non a caso utilizzata anche da tenutari e papponi.

Quando si proviene da una storia di abusi sessuali, spesso dall’infanzia, o da estrema povertà, non si può parlare di libera scelta e ciò è detto da sopravvissute che rivendicano vie di uscita e la persecuzione per legge della violenza perpetrata dai cosiddetti clienti. Gravissimo che un giornale come il vostro cancelli queste voci dal mondo delle oppresse come se non esistessero, ma c’è ancora tempo per dare loro spazio, come ci auguriamo che accada presto.

A questo proposito suggeriamo “Stupro a pagamento” di Rachel Moran (Round Robin), “Il mito Pretty Woman” di Julie Bindel (VandA), AAVV “Né sesso né lavoro” (VandA).

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