Lettera al manifesto: un collettivo di sexworkers prende parola
Il dibattito In seguito al reportage del manifesto "L'emergenza del lavoro sessuale" si è aperto un dibattito sul riconoscimento del lavoro sessuale. Riceviamo e pubblichiamo la lettera del collettivo Ombre Rosse con oltre 100 firme
Il dibattito In seguito al reportage del manifesto "L'emergenza del lavoro sessuale" si è aperto un dibattito sul riconoscimento del lavoro sessuale. Riceviamo e pubblichiamo la lettera del collettivo Ombre Rosse con oltre 100 firme
Rispondiamo alla lettera pubblicata su Il Manifesto il 16 maggio 2020 firmata dalle realtà neo-abolizioniste italiane, arrivata in risposta all’articolo “L’emergenza umanitaria del lavoro sessuale”, in cui si racconta la realtà del lavoro sessuale italiano in questo particolare momento di crisi e la relativa campagna di crowdfunding “Nessuna da sola!” lanciata in sostegno alle/ ai sexworkers durante la pandemia.
La lettera ci lascia perpless* per le contraddizioni che esprime e il forte tono ideologico.
La lettera si scaglia contro Il Manifesto, dicendo che mai si sarebbero aspettate che pubblicasse “affermazioni che ci si aspetterebbe da chi rappresenta il peggior capitalismo neoliberista disumanizzante”: primo, Il Manifesto non si è inventato nulla, ha solo raccontato le nostre esperienze di vita e di lavoro. Forse è proprio questo che le firmatarie della lettera non possono sopportare: il fatto che il mondo del sexwork (e non dello sfruttamento) abbia preso parola e inizi a parlare di sé e per sé.
Ci chiediamo allora se l’indignazione contro il giornale non sia solo una mal dissimulata pretesa di censurare le nostre voci. In che modo questo aiuterebbe la lotta per la parità ed il rispetto?
Secondo: chi scrive la lettera può affermare di svolgere un lavoro che sia fuori delle logiche capitaliste neoliberiste della società in cui viviamo tutt*?
Si parla del lavoro sessuale come se fosse l’unico lavoro in cui si è costretti a utilizzare il proprio corpo e l’unico davvero in grado di oggettivizzare e denigrare le persone.
A ben vedere non esiste un lavoro che non preveda l’utilizzo del corpo e delle sue competenze, e non esiste un lavoro scevro dal rischio di sfruttamento e abuso.
La differenza la fanno solo le politiche del lavoro messe in campo per combattere la coercizione e garantire ai a alle lavoratrici il più ampio margine di libertà di scelta e strumenti di tutela contro criminalità e clienti violenti.
Tutt* dobbiamo lavorare per vivere e il sexwork è un lavoro come un altro, nel momento in cui lo Stato si assume le sue responsabilità oltre le ipocrisie e il moralismo.
La lettera arrivata al Manifesto da realtà abolizioniste, pretende di parlare a nome di tutte, ignorando completamente le voci di chi il sexwork lo fa e sa di cosa parla, utilizzando il trucco retorico che pretende di riscrivere le storie delle/dei sexworker, mettendo in risalto solo ed esclusivamente racconti di sfruttamento e abuso, CHE PERALTRO OGNUN* DI NOI CONDANNA E COMBATTE.
Il loro ragionamento ideologico, fingendo di voler salvare qualcuno, fa invece la guerra alle persone che oggi sono più vulnerabili.
Che senso ha voler criminalizzare il nostro lavoro volendo abolire la prostituzione in quanto tale, con la pretesa di salvarci e di voler decidere al posto nostro?
E questo significherebbe combattere lo sfruttamento, proteggere i corpi delle donne?
La vulnerabilità lavorativa che affrontano tutti i giorni le persone che lavorano nel sexwork è causata dalla mancanza di riconoscimento che alimenta lo stigma, l’invisibilità per lo Stato, l’assenza di diritti certi e di strumenti di welfare, tutto ciò a causa della pretesa costante e ipocrita che questo lavoro non debba esistere.
Il voler negare a tutti i costi l’esistenza di queste persone, l’esistenza del lavoro sessuale, la voce di coloro che si raccontano, significa farsi portavoce di una corrente che nega tutta una serie di diritti fondamentali: il diritto alla libera scelta, il diritto al lavoro, il diritto alla dignità, all’autodeterminazione.
Questo genere di femminismo neo-abolizionista si sta quindi assumendo la responsabilità di discriminare milioni di persone che fanno sexwork in Italia e nel mondo? Si assume quindi la responsabilità di negare vite, voci, esperienze, diritti, dignità, autodeterminazione in nome di una ideologia?
Allora questo non è e non sarà mai la nostra idea di femminismo.
Pensare di poter negare il sexwork significa volerlo eliminare e da un punto di vista storico, ci sembra un’impresa vana, oltre che irrealistica.
Quindi che sia chiaro: noi esistiamo e combatteremo sempre per i nostri diritti.
Fatevene una ragione.
Ombre Rosse
Sostenitrici e sostenitori
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