Un tweet ieri mattina per dire che l’ipotesi è più che concreta. Che Enrico Letta potrebbe davvero prendere in mano il Pd dalle macerie in cui lo ha lasciato Nicola Zingaretti. «Sono grato per la quantità di messaggi di incoraggiamento che sto ricevendo. Ho il Pd nel cuore e queste sollecitazioni toccano le corde più profonde. Ma questa inattesa accelerazione mi prende davvero alla sprovvista; avrò bisogno di 48 ore per riflettere bene. E poi decidere».

SARÀ DUNQUE DOMANI il giorno per sciogliere la riserva, giusto in tempo per l’assemblea dem che domenica deve scegliere il nuovo leader. Piani B non ce sono, «se Enrico dicesse no sarebbe il caos», avverte Matteo Ricci, sindaco di Pesaro. In queste ore le pagine social dell’ex premier sono travolte di messaggi, in gran parte di incoraggiamento, alcuni però lo invitano a stare alla larga dal «nido di vipere». Il telefono di Letta è bollente: tutti lo cercano, Zingaretti e Franceschini i più attivi per dissipare gli ultimi dubbi e rassicurarlo.

ROMANO PRODI NON È TRA QUELLI che lo pressano. Anche se ribadisce «amicizia e stima» che durano da decenni, da quando il giovane Enrico entrò sotto l’ala protettiva di Nino Andreatta, fino a palazzo Chigi, dove Letta fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio proprio con Prodi. «Ci siamo sentiti nei giorni scorsi per parlare del Pd, ma era un ragionamento teorico, nessuno di noi due immaginava che sarebbe toccato a Enrico…», spiega il Professore al manifesto.

Alla domanda se sia preoccupato per il partito che ha fondato, Prodi risponde citando il filosofo bolognese Stefano Bonaga: «Ha detto che ormai il Pd è “un club di tassisti senza più il taxi”. Mi ha molto divertito, e ahimè ha ragione», conclude Prodi. Non si pronuncia invece sulla possibile elezione di Letta al vertice: «Qualsiasi cosa dicessi sarebbe inopportuna…».

UN ALTRO PADRE NOBILE DEL PD, Pier Luigi Bersani, che la tenda l’ha spostata così lontano da fondare un altro partito (Articolo 1), si appassiona all’idea: «Letta ed io siamo la prova vivente che in quel partito una volta si poteva lavorare assieme in vera amicizia e in vera lealtà». Non è solo Amarcord. Con Letta leader lo strappo con Bersani e Speranza si potrebbe ricucire.

Ieri la minoranza ex renziana di Base riformista ha formalmente approvato l’ipotesi Letta, ricordando però che «serve un congresso dopo le amministrative», dice Andrea Marcucci. Concetto condiviso da Graziano Delrio: «Letta è una personalità di altissimo livello». Ma «dopo il piano vaccinale, a novembre-dicembre o dopo l’elezione del presidente della Repubblica (gennaio 2022, ndr), serve un congresso che coinvolga la gente, che sappia rendere contendibile la segreteria».

ANCHE STEFANO BONACCINI vuole le primarie prima del 2023: «Spero che il congresso non sia troppo lontano, il Pd ha bisogno di parlare della propria identità che è molto annebbiata e indicare quale tipo di società vuole». Di Letta dice «personalità autorevole e adeguata» e lo invita a «aprire insieme una nuova fase costituente».

Ed è su questa parola, «costituente», cioè una operazione di rigenerazione del partito senza passare dalle primarie, che si sta attestando anche Lorenzo Guerini, rompendo l’asse con gli altri ex renziani. Anche Delrio si corregge: «Se Enrico viene eletto non è a tempo, si può ragionare sull’identità del Pd senza cambiare leader».

Al netto dei ragionamenti di Letta, che non lascerebbe Parigi per fare il traghettatore del Pd per qualche mese fino a un congresso ravvicinato, è la maggioranza di Zingaretti che dice no a ipotesi pasticciate. «Se chiami uno come lui non è per un mandato a tempo», spiega Michele Bordo dell’area Orlando.

Spiega il responsabile dell’organizzazione Stefano Vaccari: «Se si elegge un segretario è fino alla fine del mandato, nel 2023. Si può in alternativa avviare il percorso del congresso che si terrà quando ci saranno le condizioni. Alla guida del Pd resterebbe la presidente Valentina Cuppi insieme ai gruppi dirigenti in carica».

UN AUT AUT MOLTO CHIARO, per dissolvere, almeno questa volta, falsi unanimismi o tentativi di votare Letta a larghissima maggioranza per poi iniziare a delegittimarlo con la richiesta di primarie. «Se dovesse ripartire il meccanismo del logoramento, questa volta i militanti ci verrebbero a prendere con i forconi», dice Matteo Ricci. E aggiunge: «Con Letta tornerebbe lo spirito ulivista, metteremmo il Pd in salvo dai tentativi di farlo saltare in aria, di tornare a una sinistra separata dal centro».