La rottura tra il Pd di Letta e Matteo Renzi agita i renziani rimasti tra i dem. Dopo lo strappo sul ddl Zan, ieri per tentare di ricucire è sceso in campo addirittura il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, di solito taciturno sulle vicende di partito. «Penso che il campo largo di cui ha parlato il segretario del mio partito sia un dovere che dobbiamo portare avanti con grande impegno», ha detto in mattinata ad Agorà Extra su Rai3. «Le polemiche di questi giorni hanno un loro significato ma penso che dobbiamo soprattutto guardare avanti».

Oltre a lui, considerato il peso massimo dei cosiddetti riformisti dem, sono intervenuti in difesa di Renzi anche l’ex capogruppo Andrea Marcucci e il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, considerati ancora renziani in servizio permanente. «Bisogna essere coerenti. Se si dice campo largo, poi il campo non può restringersi improvvisamente. Per la sfida del Quirinale, e per vincere le elezioni, serve il consenso più alto possibile», twitta Marcucci.

E Gori: «Far discendere il perimetro del centrosinistra e le future alleanze dal voto sul ddl Zan a me pare un errore. In questi casi è consigliabile contare fino a 100. Altrimenti, per dispetto e per far dispetto, si corre il rischio di farsi male da soli».
Letta giovedì aveva parlato senza sfumature di «rottura di fiducia a tutto campo» con Italia Viva. Ieri inaugurando la sua scuola di politiche ha detto di lavorare

«sempre in una logica di centrosinistra inclusivo, vincente. Semplicemente, sul ddl Zan c’è stato un momento di chiarimento importante». Una frenata? Una retromarcia? Per Alessandro Alfieri, coordinatore di Base riformista, pare di sì. «Letta ha detto parole chiare sul campo largo da costruire con tutti coloro che vogliono far parte del progetto per le politiche 2023».

Anche Renzi? «Se vuole stare nel centrosinistra lo deve dimostrare. Il caso siciliano, l’alleanza con Miccichè, non è incoraggiante… Serve chiarezza. Patti chiari, amicizia lunga. Solo così si può andare avanti in un percorso insieme in cui si ragiona di tutto».

Anche Luigi Zanda, che di certo non è renziano, chiama alla cautela: : «Andrei cauto a parlare di rotture insanabili, di spartiacque definitivi», dice al Foglio. «Non è il voto di mercoledì in Senato ad aver definito il perimetro del centrosinistra, non è dall’esito di uno scrutinio segreto certamente grave sul ddl Zan che il Pd deve elaborare la sua politica delle alleanze».

Al Nazareno saltano sulla sedia. Nessuna retromarcia. «Nessuna apertura a Italia Viva, con cui i rapporti restano chiusi», spiegano. Questo non impedisce al Pd di continuare a lavorare a un «campo largo di centrosinistra», una «costruzione dal basso, che va avanti attraverso il lavoro delle Agorà democratiche».

Dunque i dem continueranno ad aprirsi al dialogo con forze liberali e riformiste. «Lo schema è quello del Nuovo Ulivo da costruire con il mondo moderato e liberale che non si esaurisce certo in Italia Viva», spiegano dalla sede Pd.

I dem restano convinti che i numeri in Senato siano mancati per responsabilità dei renziani. Lo dice anche il portavoce di Base riformista Andrea Romano: «Il Pd ha lavorato con coerenza e fermezza, la destra non ha mai voluto approvare una legge contro l’omotransfobia, e Italia Viva ha cambiato idea indebolendo il percorso. Tutto il resto è rumore».

E la capogruppo in Senato Simona Malpezzi rincara: «I renziani hanno indebolito il ddl Zan prima ancora del voto in aula sulla “tagliola”. C’è stato il tentativo di una prova generale per il Quirinale. Sulla pelle e sui diritti delle persone».

Sulla legge anti omofobia Salvini provoca: «Letta mi ascolti, la Lega è pronta dalla settimana prossima a discutere al Senato un disegno di legge che aumenta le pene per chi discrimina o aggredisce in base all’orientamento sessuale». Replica Alessandro Zan: «Con quale dignità Salvini, dopo aver fermato la speranza di un Paese più civile e esultato come un ultras in curva, ora chiede a Letta di trattare? Tutti hanno capito che la Lega non vuole contrastare i crimini d’odio».