Il governo? «È più debole». La sintesi è di Guglielmo Epifani alla fine del dibattito sulla fiducia alla ministra Cancellieri. Comincia la chiama dei deputati sulla mozione presentata dal Movimento 5 Stelle e la tempesta per il caso Ligresti sembra alle spalle. La ministra esce dall’aula, vuole parlare «finalmente» d’altro: del piano carceri, delle risposte da dare a Strasburgo sul sovraffollamento. Ma piovono in parlamento i verbali di don Salvatore Ligresti, vecchi di quasi un anno. Il patriarca racconta di un suo intervento su Berlusconi per favorire l’allora prefetta di Parma. Più tardi la ministra farà smentire tutto, ma intanto si materializza la previsione minacciosa di Matteo Renzi: «Fossi in Letta non ci metterei la faccia».

Se non l’avesse fatto, però, se non ci avesse messo la faccia come lo ha spinto a fare il presidente della Repubblica, Enrico Letta avrebbe dovuto accogliere già martedì le dimissioni della ministra. Invece ha forzato la mano, chiedendo ai deputati del suo partito, schierati in maggioranza assoluta per la sfiducia, di «respingere un attacco politico» che peraltro proveniva dall’interno del Pd, da quel Renzi al quale la maggioranza dei parlamentari democratici e un po’ di ministri hanno promesso fedeltà. E così il presidente del Consiglio si è giocato tutto, «l’ultimo jolly» come dicono i renziani. Ma la giornata che avrebbe dovuto segnare lo scampato pericolo consegna invece un governo traballante. E una guardasigilli che potrebbe dover fare nei prossimi giorni quel passo indietro – magari concedendole l’iniziativa – che non ha fatto ieri.

Un’eventualità che lo stesso segretario del Pd Epifani prende in considerazione, sia pure per allontanarla: «Se le confermi la fiducia non è che stai ad aspettare che si dimetta in pochi giorni». Eppure l’unica via d’uscita dall’impiccio che il Pd è riuscito a trovare assomiglia a una battuta di spirito. Bersagliato dalle critiche degli elettori e dai dissensi del gruppo parlamentare, Epifani riconosce in aula che dopo la diffusione delle telefonate tra Cancellieri e la famiglia Ligresti «una parte della nostra opinione pubblica pensa che sia avvenuto qualcosa che ha a che fare con un’assenza di imparzialità». E chiede alla ministra, testualmente, «trovi lei il modo per consentire a chiunque di poterle fare una telefonata». Cancellieri ci si aggrappa, è verosimile che l’ideona fosse stata anticipata a via Arenula: «Un numero verde? Ci stavamo già pensando, non è una cattiva idea».

L’unico intervento del Pd a parte quello del segretario è affidato a un deputato oggi renziano, il veltroniano Verini, che riesce anche a fare i complimenti alla ministra «interlocutrice attenta e obiettiva» di fronte al dramma carcerario – si sa che Renzi pensa invece malissimo della proposta di amnistia. Al momento di votare i deputati Pd mettono da parte tutti i dubbi, solo 17 assenti, qualcuno in meno nel gruppo berlusconiano che però adesso è ridotto a un quinto della consistenza degli alleati. Tra i democratici il passaggio della fiducia lascia ferite profonde; Cuperlo che all’assemblea del gruppo martedì era stato assai duro con Civati e la sua proposta di mozione di sfiducia riceve in cambio l’accusa di essere stato tra i 101 franchi tiratori anti Prodi.

Anche il modo in cui Brunetta, intervenendo per Forza Italia, motiva il no alla mozione dei 5 Stelle – una sfida al Pd accusato di essere la vera causa di instabilità per il governo – annuncia l’impossibilità per Letta di gestire i due forni delle ex larghe intese. I soci fondatori dell’alleanza bipartisan si sono ritirati, Berlusconi è avviato all’opposizione, il Pd sta sostituendo il «traghettatore» Epifani con un segretario interessato a far cadere Letta al più presto. E così ieri gli ex alleati si sono trovati in aula a condividere forse per l’ultima volta il voto, ma con motivazioni opposte. I berlusconiani, che nel merito approvano l’intervento di Cancellieri per i Ligresti, anche in virtù delle relazioni con il vecchio don Salvatore (notata l’assenza di La Russa tra i Fratelli d’Italia che hanno votato contro la ministra), avrebbe volentieri votato la sfiducia per mettere in crisi il governo. Al contrario il Pd, che non può mandare giù facilmente la parzialità della guardasigilli, è stato costretto a non votare la sfiducia per non far cadere il governo. Ed era solo il primo ostacolo. Il prossimo arriverà tra una settimana e dal fronte opposto, dove si prevede anche la reazione degli scissionisti-alleati del Cavaliere. Il voto per la decadenza risalterà come un trattamento troppo diverso di Berlusconi rispetto a Cancellieri. E allora, di nuovo, la ministra sarà posta di fronte all’eventualità di non nuocere al governo, dando un segnale di correttezza e al limite di generosità.