Cade il vessillo di Silvio Berlusconi, ma il centrodestra cerca di fare il gioco e di dettare le regole. Al vertice fissato per questa mattina, Enrico Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza discuteranno del nuovo scenario sul Quirinale dopo il passo indietro del Cavaliere. Si parla di votare come candidato di bandiera il presidente di Sant’Egidio ed ex ministro montiano Andrea Riccardi, su proposta del Movimento 5 Stelle. Ma le differenze di prospettiva restano, e si leggono tra le righe delle parole che i leader scelgono per commentare le notizie che vengono dal centrodestra.

IL PRIMO ad esporsi è proprio Conte. Nelle sue parole quasi si percepisce un sospiro di sollievo, è stato il leader del Movimento 5 Stelle. «Lo avevamo affermato in modo chiaro: la candidatura di Silvio Berlusconi era irricevibile – twitta – Con il suo ritiro facciamo un passo avanti e cominciamo un serio confronto tra le forze politiche per offrire al Paese una figura di alto profilo, autorevole, ampiamente condivisa». Conte oggi a fine giornata vede i suoi grandi elettori. Intanto incassa il passo indietro del Cavaliere ma ha un motivo ulteriore di compiacimento: il fatto che quest’ultimo auspichi la prosecuzione del governo Draghi potrebbe levargli le castagne dal fuoco, visto che molti dei suoi grandi elettori, e tanti anche tra i suoi fedelissimi, continuano a giurare anche in queste ore che mai e poi mai voterebbero per il presidente del consiglio.

ANCHE FEDERICO Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera, auspica che riparta il confronto ma nega che debba essere il centrodestra a dare le carte. «Abbandonino un inesistente diritto di prelazione sul nome del nuovo presidente della Repubblica e si compia insieme quello sforzo unitario che gli italiani si attendono in una fase così difficile e complessa della storia nazionale», sostiene Fornaro.

PARLAMENTARI e delegati regionali del Partito democratico si incontrano a Montecitorio questo pomeriggio. Intanto, Andrea Marcucci saluta la «decisione responsabile» di Berlusconi. «Ora lavoriamo per una candidatura condivisa – afferma Marcucci – L’esigenza di unità deve essere una priorità per tutti quelli che hanno a cuore il futuro del paese». Poi Enrico Letta ribadisce i paletti che aveva fissato nei giorni scorsi: chiede un «nome condiviso» sigillato da un «patto di legislatura». Era lo schema che serviva a evocare lo scenario di Draghi al Quirinale accompagnato da un patto di maggioranza che salvaguardasse la nascita di un nuovo esecutivo. Letta adesso ha un argomento in più: sottolinea che il ritiro di Berlusconi è un fallimento, anzi una «deflagrazione» del centrodestra. Il che, nonostante i contatti con Matteo Salvini e il fatto che il leader leghista abbia in serbo una rosa di nomi, gli consente di rifiutare che sia quel campo dello schieramento politico a gestire la partita del Colle. «Il centrodestra non è maggioranza e non ha quindi diritto di prelazione sul Quirinale – scandisce Letta – Lo abbiamo detto fin dall’inizio. Ora col ritiro di Berlusconi e lo scontro deflagrato all’interno del centrodestra tutto è chiaro».

«BERLUSCONI ha detto che rinuncia alla corsa al Colle e il centrodestra che non voterà Draghi al Quirinale – è la sintesi di Emma Bonino – Posto che prima o poi anche il centrosinistra dovrà fare un nome, resto convinta che si debba tenere insieme Quirinale e governo». Ma dal Nazareno considerano che Berlusconi non abbia formulato un vero e proprio veto su Draghi, e che basti la garanzia della continuità operativa e di una crisi di governo pilotata a rassicurare Forza Italia. Anche perché, dicono i dem vicini al segretario da giorni nel tentativo di convincere i grillini, se Draghi non dovesse andare al Quirinale è davvero difficile che si possa proseguire con il programma di governo come se nulla fosse.

NELLE PROSSIME ORE Letta dovrebbe rivedere anche Matteo Renzi, con il quale nonostante le antiche diffidenze è entrato nel vivo dell’architettura del patto che dovrebbe garantire la scadenza naturale della legislatura, ritorno al proporzionale compreso. A quel punto, ammesso che davvero il centrodestra accetti queste condizioni, resterebbero solo le difficoltà di Conte e di buona parte del Movimento 5 Stelle. Questa lunga domenica prima del voto sul Quirinale forse consentirà di fare ulteriore chiarezza.