Lunedì a Roma Enrico Letta e Benyamin Netanyahu, con l’annuale summit intergovernativo, rafforzeranno ulteriormente le relazioni tra Italia e Israele. Discuteranno degli sviluppi futuri dell’alleanza che hanno stretto in questi dieci anni e che, da parte italiana, è stata portata avanti sia dai governi di destra berlusconiani che di quelli centrosinistra. Roma è stata protagonista in sede internazionale di prese di posizione contrarie a qualsiasi forma di condanna delle politiche israeliane nei confronti dei palestinesi.
Lo stesso Parlamento italiano ha visto non di rado decine di deputati e senatori sottoscrivere documenti in appoggio a Israele e apertamente contrari alla legalità internazionale. Rare le prese di posizione di segno opposto, come l’interrogazione presentata il 25 novembre alla Camera dai deputati Scotto e Fava alla ministra degli esteri Emma Bonino per sapere se nel vertice del 2 dicembre il governo Letta solleverà la questione dell’attuazione da parte di Israele del Piano Prawer-Begin che prevede la distruzione di decine di villaggi arabi non riconosciuti nel Neghev e l’espulsione, di fatto, di quarantamila beduini palestinesi. E se alla luce del codice di condotta europeo e della legge italiana n. 185 del 2000, che proibiscono ogni commercio di materiale militare con autorità che «ricorrono alla repressione interna, compiono aggressioni internazionali o contribuiscono all’instabilità regionale», non si ritenga opportuno interrompere il crescente flusso commerciale di sistemi d’arma con Israele. Vaga e con scontati riferimenti all’appoggio italiano al negoziato israelo-palestinese ripreso a luglio, la risposta della ministra.
D’altronde anche l’appoggio dato, esattamente un anno fa, dall’Italia all’ingresso della Palestina all’Onu come Stato non-membro avvenne più per rispetto della linea decisa in sede europea che per convinto sostegno del diritto dei palestinesi alla libertà e all’indipendenza. Le occasionali critiche di Roma alla colonizzazione israeliana dei Territori occupati palestinesi e siriani (Golan) sono sempre a voce bassa.
Atteggiamento ben diverso, ad esempio, da quello di Parigi. Il bellicoso presidente francese Francois Hollande , che pure si proclama un sincero amico di Israele, non ha esitato qualche settimana fa a dichiarare, davanti alla stessa Knesset, l’opposizione del suo Paese alla crescita delle colonie e ad appoggiare la proclamazione di Gerusalemme quale capitale di due Stati, Israele e Palestina. Per questo tutti i governi israeliani che si sono succeduti in questi ultimi anni hanno parlato dell’Italia come della «migliore amica» in Europa. Qualche giorno fa l’ambasciatore israeliano a Roma, Naor Gilon, ha sottolineato che «Da Berlusconi a Letta, lo scambio commerciale si mantiene sempre molto alto e cresce in tutti i campi». «C’è grande amicizia tra Israele e Italia – ha aggiunto il diplomatico – perché la maggioranza dei politici italiani sono amici di Israele, noi però non abbiamo preferenze». Con il favorito alle primarie del Pd, Matteo Renzi, ha proseguito Gilon, «ci sono buoni rapporti, perché Renzi è un buon amico di Israele».
E c’è la crescente collaborazione militare e di sicurezza espressa, proprio in questi giorni, dalle costose esercitazioni aeree «Blue Flag» con la partecipazione, oltre a Israele, degli Stati Uniti e delle disastrate Grecia e Italia. Alle manovre, finite ieri, hanno preso parte un sessantina di aerei da guerra fra cui F-15, F-16, Tornado, Amx e B-152, non pochi italiani. Nel 2012, con 473 milioni di euro, Israele ha acquistato 30 aerei da addestramento M-346 dell’Alenia Aermacchi, controllata dalla Finmeccanica, ottenendo in cambio commesse italiane per un miliardo di dollari in attrezzature militari e per la sorveglianza. Sempre più forti si fanno i rapporti anche in altri settori, dalla digitalizzazione alla ricerca universitaria, dallo sviluppo industriale e scientifico fino alla cultura.