Mentre l’Italia è messa a ferro e a fuoco dai forconi, gli operai della Fiom attraversano Roma in camper: portano un mucchio di scatoloni, con su scritti i numeri della crisi. «Alcatel Lucent: 2000 licenziamenti». «Fiat Termini, 1560 operai: Chiusura». «Electrolux Porcia: 2000 esuberi». L’emergenza dei metalmeccanici approderà questa mattina sul tavolo del premier Enrico Letta: ieri sera, all’assemblea pubblica in Piazza del Popolo, il segretario Maurizio Landini ci ha spiegato di aver ottenuto un incontro con il presidente del consiglio.

Vi riceverà proprio lui? Il ministero dello Sviluppo non basta più?

Abbiamo ottenuto un incontro a Palazzo Chigi, noi speriamo di poter vedere proprio Letta. L’emergenza è al massimo: fabbriche chiudono ogni giorno, bisogna fermarla. Al ministero dello Sviluppo si rischia di accompagnare semplicemente la riorganizzazione delle imprese, mentre noi abbiamo bisogno di una politica economica e industriale. Chiediamo un polo e un piano dei trasporti, un piano per le telecomunicazioni, un tavolo per gli elettrodomestici, investimenti. L’Ig Metall ci ha detto che in Germania la Volkswagen ha appena annunciato investimenti per 60 miliardi di euro nei prossimi 5 anni; in Francia lo Stato interviene direttamente. Solo in Italia la politica non segue il destino delle sue industrie, anzi le privatizza e svende: pensiamo a Finmeccanica. O alla St: il governo italiano vuole vendere la sua quota, mentre quello francese non ci pensa lontanamente.

Il governo però viene incontro ai lavoratori con il cuneo fiscale.

Non va bene. Sono soldi distribuiti a pioggia che daranno pochi euro al singolo lavoratore. Mi si dica quanti posti di lavoro creano. Piuttosto quelle risorse investiamole nell’industria, per creare lavoro: ogni posto perso oggi è una tragedia personale, ma è anche una perdita per l’economia. A Letta chiederemo anche di rifinanziare i contratti di solidarietà, perché accanto a un piano per il lavoro servono sempre e comunque ammortizzatori forti.

Quindi è bene che il governo proceda almeno per i 18 mesi che Letta si è dato chiedendo la fiducia? O ritenete che dopo la bocciatura del «porcellum» debbano andare a casa e si debba votare?

Io penso che la bocciatura della legge elettorale ha portato necessariamente con sé la delegittimazione non dico giuridica, ma sicuramente politica dell’attuale quadro. Quello che è successo con le primarie, con quasi tre milioni di persone andate a votare, buona parte delle quali non iscritte al Pd, ci dice che c’è in questo momento una richiesta di rinnovamento, di partecipazione, di democrazia. E anche le manifestazioni che stiamo vedendo in questi giorni, ci parlano di un disagio fortissimo a cui gli ultimi governi, da Monti a Letta, non hanno saputo rispondere. In Germania l’esecutivo che sta per nascere si sta accordando per abbassare l’età pensionabile a 63 anni e introdurre il salario minimo. Allora io dico: o danno risposte al Paese, o se non le danno allora è meglio che si cambi la legge elettorale e ci si prepari ad andare al voto.

Parliamo dei forconi. Ma non vi preoccupano? Mostrano pericolose derive a destra, in alcuni casi si inneggia al ritorno del Duce.

Al di là dei contenuti, che sono vari, e al di là delle strumentalizzazioni interne ed esterne che vengono fatte, comunque quelle manifestazioni mi dicono che in Italia c’è un profondo disagio sociale, a cui in qualche modo la politica deve dare una risposta. Con fatti, non parole. Si moltiplicano i precari, i disoccupati, i cassintegrati, ed è chiaro che se cresce il malcontento possono fiorire i fenomeni più svariati, anche rischiosi.

In queste manifestazioni si sentono critiche anche a voi del sindacato. Critiche che, in modo diverso, arrivano anche da Grillo, e ultimamente da Renzi. Non è che dovete fare autocritica? Obiettivamente spesso c’è una contiguità tra politici e sindacalisti che con la crisi, a chi è escluso ed emarginato, può risultare indigeribile.

Noi della Fiom da tempi insospettabili diciamo che il sindacato non si fa dall’alto, con le burocrazie, ma soprattutto dal basso: con i voti e la democrazia. Non devono essere Grillo e Renzi a darci lezioni, né credo che i partiti debbano dire al sindacato come comportarsi. Piuttosto, riprendendo quello che è successo con le primarie, dico a Renzi: i cittadini possono votare il proprio candidato alle politiche, ma nei luoghi di lavoro questo non si può fare. Ora che è alla guida del Pd, con una così ampia investitura popolare, si batta per una legge sulla rappresentanza.

Andiamo a un altro nodo che dentro la Fiom ha fatto male: il tracollo alle elezioni nell’Ilva.

All’Ilva non c’è stato un tracollo, ma una sconfitta pesantissima. La Fiom è passata da 3000 a 1400 voti, dimezzando i suoi consensi. Ha perso in parte anche la Uilm, pur rimanendo il primo sindacato. L’Usb era la prima volta che si presentava: ha preso 1800 voti e il 20%, probabilmente anche molti dei nostri. C’è stato un calo dell’affluenza del 3-4%. Dovremo confrontarci con i lavoratori per capire quello che è successo: probabilmente le nostre lotte, il nostro messaggio, non sono passati.

E alla Indesit? L’azienda ha accettato di non licenziare e voi non avete firmato. Come mai?

Alla Indesit abbiamo voluto rendere esplicito il nostro disaccordo con quell’intesa, che in prospettiva ridimensiona la presenza in Italia, apre forse a un’uscita della famiglia e a una vendita, e soprattutto delocalizza. A Caserta non si faranno più lavatrici, vanno in Turchia. Il ministero non ci ha aiutato: ci ha presentato un testo finale che riproduceva quello dell’azienda, ed è grave. Non sottovalutiamo che non si sia licenziato e che si siano attivati i contratti di solidarietà, cose che avevamo chiesto anche noi: ma i lavoratori hanno votato e se la maggioranza mi dice che quell’accordo va bene, io firmo.