Ai confini più remoti del mondo, che evocano l’avventuroso passaggio a Nordovest, dove il continente americano e la Russia si fronteggiano ai due lati dello stretto di Bering, c’è il piccolo villaggio di Chukotka. Proteso sul mare all’estremità della Russia, lo separano dall’Alaska appena 80 km. Per un ragazzo come Leshka, il protagonista di Kitoboy di Philipp Yuryev – premiato come miglior film delle Giornate degli Autori 2020, il primo della direzione artistica di Gaia Furrer – quegli 80 km sono una «passeggiata» e allo stesso tempo uno spazio infinito, oltre il quale si cela un mondo ignoto.

APPENA quindicenne, Leshka è un cacciatore di balene come quasi tutti gli uomini del suo villaggio: la vita è scandita dai ritmi del mare, dalla caccia con gli arpioni, tutti insieme, a bordo di piccole imbarcazioni, dal giro del villaggio porta a porta per vendere la carne della balena. E poi le corse in motorino con il migliore amico – i giochi, le battute, la scoperta del mondo nell’orizzonte ristretto del villaggio, dove la città più vicina è a centinaia di chilometri di distanza e non ci sono ragazze. Il progetto del film, spiega l’esordiente Yuryev nelle note di regia, nasce infatti da un viaggio in un piccolo villaggio di pescatori «dal quale le ragazze se ne erano andate da poco per frequentare la scuola estiva nella grande città. La loro partenza era stata una vera tragedia per i ragazzi locali, che dovevano passare tre lunghi mesi da soli».

A casa però, insieme al nonno, Leshka trova il suo computer: internet funziona male, «lagga» di continuo, ma i ragazzi di Chukotka hanno scoperto le videochat erotiche, dove si possono guardare bellissime ragazze a migliaia di chilometri di distanza e – se si hanno i soldi da spendere – interagire con loro. «Per gli adolescenti di questo villaggio, la webcam della chat diventa una finestra affacciata su un altro mondo, mai visto in precedenza e che probabilmente non vedranno mai». Ogni tanto infatti delle imbarcazioni riportano sulla terraferma il cadavere di chi ha tentato la traversata al di là del mare, verso gli Stati Uniti e un sogno americano dai contorni irreali e crudeli: un compaesano di Leshka è stato ucciso dalle guardie di frontiera convinte erroneamente che fosse armato.

MA TRAMITE la finestra sul mondo rappresentata dalla webcam Leshka si innamora: conosce solo il nickname della ragazza che si esibisce di fronte a lui eppure così lontana – a cui parla nella convinzione di essere ascoltato: Hollysweet_999. Ha un unico indizio su dove si trovi: l’azienda che offre il servizio della chat erotica è a Detroit, Michigan, che Leshka inizia a ripetere come un mantra. Yuryev segue il suo protagonista con affetto, sullo sfondo di un paesaggio a cui la sua vita è inestricabilmente legata: «Questa terra magica, la tundra, le scogliere sul mare in tempesta, le balene maestose… Tutto ciò è più di uno sfondo esotico alla storia, sono dei veri e propri personaggi con un ruolo nel racconto. La componente visiva del film è importante, il mio intento era di trasmettere l’inviolabilità e l’eternità di questo paesaggio freddo che si allunga fino all’orizzonte, ma al contempo di non scivolare in una vacua ammirazione di ciò che circonda i personaggi, di avvicinarmi a loro e ai loro sentimenti».

È ATTRAVERSO l’insolito amore per una sconosciuta che avviene il passaggio di Leshka all’età adulta, romanzo di formazione ai confini del mondo ma costruito sui sentimenti universali dell’adolescenza, con i suoi desideri totalizzanti che per Leshka si riversano però su un’immagine indifferente, una finzione, l’inganno di una felicità impossibile e patinata come le foto trovate su Google dei grattacieli che si stagliano contro l’orizzonte di Detroit. Il sogno americano, che per Leshka ha le fattezze di una sorridente ragazza bionda, è altrettanto artefatto: dall’altra parte del mare non c’è che un inganno e la fine dell’innocenza.