L’alleanza sovranista euroscettica di estrema destra, che Salvini ha voluto celebrare a Milano a pochi giorni dalle europee del 23-26 maggio, è già ammaccata ancora prima di concretizzarsi. Il colpo è venuto dall’Austria, con le dimissioni forzate del numero due del governo di Vienna, Heinz-Christian Strache. L’Fpö ha mandato a Milano una figura di secondo piano, Georg Mayer, al posto della testa di lista per le europee, Harald Vilimsky. Il nuovo scandalo ha rivelato un elemento ben presente anche in altre formazioni di estrema destra: le relazioni poco chiare con la Russia di Putin. E più in generale la grande disinvoltura con i soldi, che sono uno dei grandi interessi dell’estrema destra tant’è che molti partiti di questa affollata galassia non sono sfuggiti a derive disoneste. Ma il caso austriaco, con lo smascheramento del «retrobottega» assai poco pulito mette in crisi il modello dominante della strategia dei sovranisti: l’alleanza tra destra classica e estrema destra, che è l’obiettivo in diversi paesi. Anche se ieri molti hanno cercato di minimizzare il colpo ricevuto in Austria, «affare interno» secondo Marine Le Pen.

Nell’Unione europea, già in sette paesi l’estrema destra è al governo e in altri i nazionalisti sperano di essere alle soglie del potere. Nel prossimo parlamento europeo, l’estrema destra punta ad essere determinante, ma è accreditata di circa un quarto dei seggi e la manovra può non riuscire. Steve Bannon, che è stato consigliere di Trump e in questi giorni è a Parigi, lavora per una alleanza al Parlamento europeo dei partiti nazionalisti, oggi divisi in tre gruppi. «Le elezioni europee saranno un terremoto», prevede Bannon, «sarete sorpresi di vedere che questi partiti possono lavorare assieme». Ma i nazionalisti avranno molte difficoltà a unirsi. Già ieri a Milano, mancavano alcuni nomi-chiave: non c’era Viktor Orbán, primo ministro ungherese e leader di Fidesz, che contende a Salvini la leadership nazionalista in Europa, né il Pis polacco di Kaczynski, e nemmeno il Brexit Party, il nuovo partito di Nigel Farage in Gran Bretagna. Orbán conserva un piede nel Ppe (popolari), che hanno sospeso ma non espulso Fidesz, e contemporaneamente pensa a una possibile alleanza con il Pis e altri minori, ma con un volto più presentabile, meno estremista degli ospiti di ieri a Milano. Farage, che con il suo ex partito Ukip nel parlamento uscente è alleato con il Movimento 5 Stelle, segue logiche proprie, in prospettiva del Brexit.

Dopo aver già riunito lo scorso aprile, sempre a Milano, i danesi del Dfp, l’Afd tedesca e i Veri Finlandesi, ieri Salvini ha portato sul palco anche Marine Le Pen del Rassemblement National, il Vlaams Belang dal Belgio, il Pvv olandese, Ekre dall’Estonia, Spd della Repubblica ceca, la slovacca Sme Rodina, Volya bulgara, oltre agli austriaci del Fpö. La spagnola Vox entrerà a far parte di questo schieramento, dopo il voto delle europee. L’ipotesi di un unico gruppo dei nazionalisti si scontra con le troppe differenze: tra gli austriaci, i finlandesi, i tedeschi che non vogliono sentir parlare di debito italiano e di eventuali solidarietà, tra gli statalisti francesi e i regionalisti belgi, tra gli olandesi che propongono un «edonismo securitario» e gli spagnoli che vogliono le donne a casa, tra gli italiani più anti-europei e gli austriaci più accomodanti con Bruxelles, tra chi resta ancorato a un passato inquietante, come la greca Alba Dorata e chi cerca rispettabilità, nascondendo i tatuaggi con le croci uncinate sotto un abito da bancario, come il Jobbik ungherese, tra gli amici di Putin e gli anti-russi dell’est, tra chi non rinnega l’antisemitismo e chi invece lo nasconde, tra il nord Europa più anti-tasse e la Francia più sociale, tra i liberisti e i corporativisti.

A pochi giorni dal voto, la propaganda evita di entrare nei dettagli. I partiti nazionalisti si concentrano su due temi: il rigetto del trio Merkel-Juncker-Macron e una violenta retorica anti-islam e anti-immigrati. I tre dirigenti di Germania, Francia e Commissione sono accusati di aver aperto le frontiere all’immigrazione e all’islam, di negare radici e identità tradizionali per favorire la mondializzazione.