Al critico viennese Ulk, che lo aveva preso in giro per il suo scritto Ornamento e Delitto, aveva risposto lapidario: «Caro Ulk! E io ti dico che verrà il giorno in cui l’arredamento di una cella carceraria ad opera del tappezziere di corte Schulze o del professor Van de Velde, sarà considerato un inasprimento della pena».
Per l’architetto Adolf Loos infatti, l’uomo moderno non avrebbe più dovuto aver bisogno dell’ornamento, e mai più di usare decorazioni inutili e faticose in tutti i nuovi contesti della vita moderna. Grazie al viaggio per alcuni anni negli Stati Uniti (dal 1893 al 1896), Loos si era avvicinato velocemente al Modernismo ed era venuto direttamente in contatto con l’architettura di Chicago, con l’architetto Sullivan e il suo importante saggio Ornament in Architecture, propedeutico a quel suo decisivo scritto Ornamento e Delitto del 1908. L’8 dicembre scorso, è stata aperta al MAK di Vienna una mostra sulle abitazioni da lui progettate, per celebrare i 150 anni dalla sua nascita, il 10 dicembre 1870.

La mostra «Adolf Loos, Private Houses» racconta quindi le opere del forse più importante pioniere del Modernismo attraverso quella rivoluzione portata avanti nella progettazione e nella realizzazione di abitazioni private. Erano ville lussuose per singole famiglie e residenze di campagna, tutte per una borghesia fatta della comunità ebraica di Vienna, di artisti e di letterati anche al di fuori dell’Austria.

Circa un centinaio di schizzi, piante, fotografie e modelli in mostra (tutti provenienti dall’archivio Adolf Loos del Museo Albertina), includono progetti privati e come strutture per le abitazioni cooperative del Wiener Siedlungswerk, che appartengono tutte al grande progetto a cui avevano partecipato anche altri architetti, come Richard Neutra, Josef Frank, e Margarete Schütte-Lihotzky.

Non dimenticando la sua grande lezione contro l’ornamento, contro l’utilità della decorazione, Loos era riuscito a combattere il superfluo, non solo attraverso progetti architettonici innovativi, ma anche attraverso il suo design. Questo era stato da subito riconosciuto come un coraggioso distanziamento dall’epoca precedente e come un passo decisivo verso il futuro.

Definito come un Diogene moderno da Edoardo Persico, di carattere isolato, Loos era stato molto critico nei confronti sia dell’Art Nouveau, che della Secessione viennese e anche del Ring intorno alla sua città. Scriveva, una volta tornato dagli Stati Uniti «Quando me ne vado a spasso lungo il Ring ho sempre l’impressione che un moderno Potemkin si sia assunto il compito di far credere a tutti di essere stati trasferiti in una città per soli nobili. Tutto quello che l’Italia rinascimentale ha saputo creare in fatto di palazzi nobiliari, è stato saccheggiato per costruire l’illusione di una nuova Vienna (…)».

Tornato dagli Stati Uniti quindi , Loos aveva cominciato realmente la sua carriera d’architetto che lo avrebbe portato a progettare anche molte di quelle abitazioni della ricca borghesia oggi in mostra. Era stato un intelligente critico della nuova architettura cittadina che, diceva, avrebbe dovuto alleggerirsi da tutto quello che era di troppo e d’ornamento; nella città, nell’architettura, nel design. Costruzioni residenziali rappresentarono presto una sua personale strada verso il successo. Loos ha operato prima e dopo la prima guerra mondiale, prima del totalitarismo del regime nazista e aveva preceduto il grande e breve successo firmato Bauhaus. Il suo fondamentale rifiuto dell’ornamento fine e se stesso (inutile e ‘dannoso’, sarebbe il caso di dire), lo aveva portato a un’architettura tanto pulita da essere una grande lezione futura forse anche per architetti come Le Corbusier.

I progetti di abitazioni sia private che pubbliche, raccontati dalla mostra del MAK di Vienna dimostrano sicuramente il suo rapido sguardo sul futuro, senza mai dimenticare l’humus che lo aveva cresciuto e nel quale si era formato. Nella sua architettura si trovano influenze di quelle americana, europea e mediterranea, che non possono mai trascurare le proprie origini nel classicismo e nell’antichità.

Dai suoi anni statunitensi, si era portato a casa una nuova idea di cultura moderna, quella che poi avrebbe propagato sia in articoli su giornali, sia in tutto quello che infine avrebbe progettato in concreto. Nel 1910 realizzava infatti la famosa Loos Haus, segno concreto della sua rivoluzione, sia di forme che di contenuti: qui non ci sono più riferimenti allo storicismo, e neanche allo stile floreale che aveva segnato la Secessione Viennese.

Predecessore degli stili del Novecento – lo si vede in mostra – Loos aveva iniziato a realizzare tetti piani, ma spesso con movimenti di volumi che animavano la geometria. Per esempio come in casa Steiner del 1910, edificio fortemente emblematico del Modernismo europeo dove, nonostante i rigorosi regolamenti viennesi imposti per le facciate su strada, Loos era riuscito a usare un tetto a mansarda con profilo semicircolare. Tra le prime case in cemento armato, aveva reso Loos un grande architetto moderno oltre i confini austriaci.
E ancora, solo pochi anni dopo, nel 1912, in casa Scheu, Loos utilizza sia il ‘terrazzamento’ (l’idea di accedere alla terrazza da una qualsiasi delle camere da letto), che la tecnica del Raumplan tipica di Loos (principio compositivo basato sull’incastro di volumi di dimensioni diverse, con piani a diverse altezze in una stessa abitazione).

Questa soluzione era poi diventate comune in molte opere del Movimento Moderno, dell’architettura di Frank Lloyd Wright e di Le Corbusier, come un modo semplice per offrire un’ottima vivibilità. In mostra ci sono costruzioni sia solo progettate, che molte altre realizzate tra 1903 e il 1931, come le case per l’artista del Movimento Dada Tristan Tzara (1925-26), per la ballerina Josephine Baker a Parigi (mai realizzata), per il costruttore Müller a Praga (1928-30) e per l’imprenditore di tessuti Moller a Vienna (1927). Tutti edifici riconosciuti oggi come esempi di case famigliari tra i più importanti del ventesimo secolo.