Stendeva un tappeto e li faceva accomodare. Li lasciava a terra circondati di strumenti, pietre, piccole tastiere, qualsiasi cosa producesse suoni. Quando Don Cherry saliva su un palco, spesso portava con sé la piccola Neneh e il fratellino Eagle-Eye. E lasciava che questi suoni entrassero nel suo set. Che Neneh sia cresciuta con i grandi insegnamenti ricevuti dal patrigno, trombettista avant jazz che aveva suonato con Ornette Coleman prima di stabilirsi in Svezia, è cosa certa. Da lui ha preso molto: il retaggio africano, l’inclinazione verso le sonorità cosmiche, la ricerca e la sperimentazione. Soprattutto l’idea che la musica è figlia di una lunga e profonda riflessione che dalle disgrazie della gente afroamericana l’ha portata a occuparsi di minoranze in senso ampio, fino alla negligenza delle politiche in difesa dei minori. Negli anni dell’esordio di Neneh, alla fine degli Ottanta, arrivò dopo che da adolescente aveva abbandonato la scuola e si era trasferita a Londra.

AVEVA VISSUTO in uno squat sulle orme della mamma artista Moki e aveva iniziato a collaborare con Poly Styrene delle X-Ray Spex e le Slits. Erano successe di cose da quelle parti dopo il punk. La scia dei grandi attentati dell’Ira, le lotte sindacali, il tatcherismo, la fine del nichilismo. E poi l’invasione dell’hip hop. Lei ne colse l’essenza, in qualche modo ne anticipò persino lo slang più evoluto, quello del trip hop in quell’esordio miracoloso che si intitola Raw Like Sushi. E che proprio oggi, a trent’anni dalla pubblicazione, viene celebrato nella rimasterizzazione della versione orginale nel box set deluxe (3 cd o 3 lp) con un libricino di circa cinquanta pagine contenenti foto e interviste ai protagonisti e una folta manciata di mix e remix. Sì, perché quello fu un lavoro di Neneh, che poi per una decina di anni cavalcò il successo che la portò a un certo punto a congedarsi da tutto, sconvolta dal troppo clamore, ma anche di molti altri artisti che, proprio come lei, guardavano al presente ma miravano al futuro. Alla produzione ci sono il Bomb the Bass Tim Simenon, Mark Saunders e i Massive Attack, che si erano formati a Bristol poco prima, il cui leader Robert Del Naja è una presenza costante nelle prime apparizioni di Neneh.

IL TRAMITE, a quanto si narrava, è proprio il marito Cameron McVey aka Booga Bear, che partecipò al successo dei Wild Bunch la crew nella quale i Massive Attack presero forma. Mcvey e Del Naja si intromisero nei due brani più significativi del lavoro: Buffalo Stance, pezzone hip hop connotato dall’utilizzo di synth, e Manchild, la ballata spooky in minore che ha sorvolato generi e stili. La bellezza, l’eleganza e la classe di Neneh Cherry, trent’anni dopo.