Cultura

L’esoterica perfezione del gesto

L’esoterica perfezione del gestoCarlo Mollino, Ritratto (senza titolo), 1956-1962 circa

Fotografia Una mostra dedicata a Carlo Mollino, figura poliedrica di artista tra immagini, oggetti di design, architetture e scrittura

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 27 febbraio 2018

Progettista di interni, scrittore, designer, architetto, automobilista, fotografo. Carlo Mollino è stato tutto questo e molto altro. Nato a Torino nel 1905, fin da bambino rimase affascinato del mezzo fotografico, passione trasmessa dal padre Eugenio che aveva allestito una camera oscura in una stanza della casa di famiglia.
Consapevole e sedotto delle possibilità di ricreazione del reale proprie della fotografia, è stato tra i primi architetti a «ritrarre» gli edifici e gli interni da lui stesso progettati. Già nel 1937, alcuni suoi scatti di Casa Miller furono scelti da Gio Ponti per essere pubblicati sulla copertina di Domus, consacrandolo non solo come architetto ma anche come fotografo. Negli interni di Casa Miller – così come in altre sue decorazioni d’interni – Mollino ha realizzato scatti al confine con il surreale e il metafisico, in cui corpi, specchi e oggetti d’arredamento creano un universo organico. Passato e futuro, apparati anatomici e manufatti di design si contaminano tra loro.
Mollino ha al suo attivo migliaia di scatti con tecniche e i formati diversi, dal negativo su lastra a quello su pellicola, dal bianco e nero al colore, al fotomontaggio, fino alla polaroid per quelli più privati, come dimostra l’esposizione a Torino L’occhio magico di Carlo Mollino. Fotografie 1934-1973 visitabile a Camera – Centro Italiano per la Fotografia, fino al 13 maggio.

LA RASSEGNA RACCOGLIE oltre cinquecento immagini tra le quindicimila conservate nelle collezioni del Fondo Carlo Mollino presso il Politecnico di Torino, dove l’architetto aveva insegnato Composizione architettonica per più di vent’anni.
«Con questa mostra abbiamo voluto indagare e riflettere sull’atteggiamento curioso di Mollino, vorace, colto – ma a tratti anche caotico e disordinato – nei confronti della fotografia», ha affermato il curatore Francesco Zanot. «Ci siamo chiesti come fosse possibile mostrare materiali tanto diversi. Abbiamo deciso di rinunciare a una selezione di highlights e scelto immagini con tipologie eterogenee: opere d’arte, documentazioni, fotografie personali, immagini tecniche, per permettere al visitatore un’immersione totale in quel suo universo fotografico, la cui unica possibilità di comprensione sta proprio nella sua assunzione per intero, senza suddivisioni né artificiose frammentazioni».
L’esposizione è una sorta di biografia iconografica, in cui si ripercorrono gli eventi più importanti della sua vita, dalle prime fotografie di architettura degli anni ’30, alle immagini di viaggio, in cui ritraeva sia dettagli di edifici iconici di Le Corbusier o di Frank Lloyd Wright, sia frammenti di esistenze e luoghi anonimi della campagna rumena o olandese, fino alle polaroid degli ultimi anni.

«MOLLINO UTILIZZAVA la fotografia per prendere appunti sulla sua vita. Anche se le immagini ritrovate dopo la sua morte, nello studio professionale di Pamparato a Torino, nel 1973, non erano organizzate in modo ordinato e non erano accompagnate da annotazioni, avevano sempre un aspetto diaristico», ha sottolineato il curatore. Era considerato un outsider, sia come fotografo, sia come teorico della fotografia. Nel 1949 venne pubblicato il libro Il messaggio dalla camera oscura, da lui scritto durante la guerra in pressoché totale isolamento, un epocale trattato di storia ed estetica fotografica, in cui elevava la fotografia al rango di arte, in dialogo con l’evoluzione del gusto estetico del tempo.
Mollino rimase però sempre fuori da qualsiasi gruppo o movimento codificato. Anche se nelle sue opere fotografiche è possibile individuare alcune influenze surrealiste, non vi sono stati contatti diretti con il movimento perché Mollino, pur a conoscenza di quello che accadeva a Parigi, estraeva dalla poetica e dalla pratica surrealista simboli come ombre, specchi, orologi, e autori di riferimento come Atget e Man Ray, per farli propri.

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Il draghetto di carta di Mollino e un suo ritratto

VISITANDO LA MOSTRA, si possono scoprire le tante passioni di questo misterioso artista. Amava l’automobilismo: nel 1955 aveva partecipato alla gara automobilista 24 ore di Le Mans in Francia con l’auto da corsa Bisiluro Damolnar, progettata insieme a Mario Damonte ed Enrico Nardie, l’aeronautica, l’alpinismo e lo sci. Nel 1951 viene pubblicato Introduzione al discesismo, un testo audace, illustrato con disegni e fotografie, ristampato nella sua forma originale alcuni anni fa, in cui lo statement «lo stile plasma la tecnica», come da lui scritto nella premessa al volume, è in perfetta sintonia con i suoi oggetti di design e le opere architettoniche.
Carlo Mollino è stato anche autore di una decina di edifici. Alcuni di questi, come la Società Ippica Torino, sono stati demoliti; altri – la stazione per slittovia con albergo al Lago Nero e l’Auditorium Rai di Torino – restaurati, ma landmark della città sabauda come la Camera di Commercio, struttura di acciaio in vetro che sembra sospesa nel vuoto, il nuovo Teatro Regio e la Sala da ballo Lutrario, sono ancora attivi e visitabili.

L’ULTIMA E LA PIÙ AMPIA sezione della mostra – «L’amante del duca» – è dedicata al tema del corpo e della posa. Sono messi a confronto sciatori e ritratti femminili, i primi colti in posizioni che evidenziano la perfezione del gesto tecnico (Mollino fu anche direttore della commissione delle scuole e dei maestri di sci), le donne ritratte negli interni delle abitazioni da lui progettati con pose che ricordano quelle della statuaria antica, nelle stampe in bianco e nero, e con le Polaroid, in cui il gusto del boudoir, sempre elegante e sofisticato, viene amplificato dalla ricerca delle messe in scena.
Prima di scattare Mollino faceva molti preparativi, era attento agli arredi e acquistava personalmente gli abiti che lasciava indossare alle modelle per creare un’unità compositiva tra abiti, corpi, luci e interni domestici. Sembra quasi che cercasse un ideale di bellezza, continuamente da perfezionare, senza riuscirvi mai completamente, provando con nuove modelle e abiti originali. Si tratta di un lavoro privato, che Mollino voleva tenere per sé, ritrovato dopo la morte da Fulvio Ferrari, come racconta lo stesso Ferrari nel testo pubblicato in catalogo. Un lavoro difficilmente classificabile e che non può essere inserito nella storia della fotografia erotica o pornografica.
In mostra ci sono anche documenti, lettere, manoscritti, cartoline e memorabilia come il «drago da passeggio» di carta che l’architetto regalò ad alcuni amici per il capodanno del 1964 accompagnato dagli scatti fotografici di una donna velata, in compagnia dell’animale.

NONOSTANTE TUTTI questi materiali, Mollino rimane un autore enigmatico. Amava circondarsi di letture e oggetti esoterici non è un caso che la copertina de Il messaggio dalla camera oscura presenti un ritratto della regina egizia Tiy, moglie del faraone Amenofi III. Come suggerisce Ferrari è una sorta di consapevole mise en abyme, in cui il sarcofago, dove il corpo del Faraone è contenuto, non è una tomba ma una dimora divina che proietta il faraone nella vita ultraterrena, una sorta di «camera oscura», che ne riflette la presenza. Un’ulteriore indicazione di quante suggestioni e possibilità di lettura offra il lavoro di Mollino, tanto vasto e multiforme da aprirsi a più interpretazioni.

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