È un mulinello del tempo, quello che tiene racchiuso nelle sue pagine il romanzo di Leslie P. Hartley datato 1953, L’età incerta (traduzione di Loredana Renda, Neri Pozza, pp. 352, € 18,00, in originale The Go-Between, letteralmente Il messaggero d’amore).

Ormai più che sessantenne Leo Colston scopre in fondo a una scatola di cartone, assieme ad alcune reliquie dell’infanzia, un diario tenuto sulla soglia dei tredici anni. E immediatamente è attraversato da due diversi percorsi memorativi. Strappati dal contesto, gli oggetti parlano direttamente alla mano che ne sta ripercorrendo la forma. Il piacere «intimo» del riconoscerli propri, «il brivido quasi mistico dell’averli posseduti un tempo», risvegliano in lui un senso di pudore, intraducibile in parole. «Era un appello alla rovescia: quelle creature del passato pronunciavano il loro nome, e io rispondevo: «Presente!». Al contrario, lo sgualcito quaderno rilegato in cuoio rossastro rifiuta di rivelare la propria identità. «La mia prima impressione fu che si trattasse di un regalo che qualcuno mi aveva portato al ritorno da un viaggio all’estero».

Ombre in arrivo
È questo oggetto straniero a estrarre da Leo le parole che sta per vergare sulla carta. Non è da credere infatti che sull’evento traumatico attorno al quale la narrazione trova il proprio centro gravitazionale sia direttamente il diario a parlare. Dopo il trauma la scrittura si è arrestata. Le pagine sono rimaste bianche. The Go-Between non è un romanzo autobiografico, ma un romanzo che sull’autobiografia si interroga. Che alla facilità della full immersion oppone il filtro duro dell’oggetto. L’impulso autonarrativo è liberatorio, ma allo stesso tempo malato, «come il catarro nella bronchite, quando si scioglie e vuole tornar su». L’immagine cruda è degna del film, premiato a Cannes, che nel 1971 Joseph Losey ricavò dal romanzo di Hartley, per la sceneggiatura di Harold Pinter.

Leo Colston sta per compiere tredici anni quando viene invitato a trascorrere alcuni giorni di vacanza presso un compagno di scuola. La sua routine modesta, scandita da una madre tanto severa quanto affettuosa, è sconvolta dall’ingresso nella nuova casa di Brandham Hall, la cui grandiosità impone lo stile di vita dei grandi proprietari terrieri, che i Maudsley in effetti non sono, dato che il loro denaro proviene dalla city e puzza di commercio. Di quella residenza sono solo gli affittuari, che sperano di rimediare alla pecca di status favorendo il fidanzamento della giovane e bella figlia Marian con il signorotto del luogo, il simpatico e sfigurato lord Trimingham, reduce fresco dalla guerra boera. Dal suo canto il lord, ospite costante a Brandham Hall, è in attesa che il matrimonio gli restituisca il pieno godimento della sua proprietà. Inoltre, egli è sinceramente preso dalle grazie non convenzionali della fanciulla.

È l’estate del 1900 e Leo si aspetta grandi cose dal nuovo secolo. Contempla affascinato i segni dello zodiaco incisi in oro sulla copertina del suo diario: l’Acquario, il Sagittario, la figura sinuosa della Vergine, sono per lui i gradini di una scala ascendente verso il sole che splende incessante su quell’estate magica e perfetta. Fiero del suo segno, il Leone, attende trepidante la festa che i suoi ospiti stanno organizzando per lui. L’opulenza della nuova vita si fonde con lo splendore della natura circostante, trasportandolo in una specie di età dell’oro rediviva. In un Sogno di una notte di mezza estate senza ombre.

Ma le ombre ci sono, eccome, e Leo le percepisce materializzate nella figura di Ted, il giovane e aitante contadino con il quale Marian ha una relazione. In assenza di telefono, è lui l’inconsapevole go-between fra i due amanti. Un giorno, con la curiosità dell’adolescente che in quella figura di Virgo presente molto più di quanto non sappia dire, sbircia il messaggio che sta per consegnare e da quel momento la sua «innocenza» vacilla. Tra i due intercorre sicuramente uno scambio misterioso. Cosa è, esattamente, «fare l’amore»? Sintomatico della sua sessualità già risvegliata è che chieda lumi proprio a Ted, il quale resta nel vago con la scusa di non volergli rovinare l’esperienza quando sarà il momento. «Che paradiso era stato Brandham Hall prima che vi entrasse il serpente!»

A rovinare la vita di Leo sarà la visione scioccante verso la quale la sera della festa lo trascina, infuriata e urlante, la madre di Marian: «e fu allora che li vedemmo, stretti a terra, la Vergine e l’Acquario, due corpi che si muovevano come se fossero uno solo». Da quel momento e per tutti i cinquant’anni a venire, la sua memoria si arresta. In quel vuoto, l’eco del suicidio di Ted, che tornando a casa si è sparato un colpo di fucile alla testa, gli è pervenuta «priva di voce, come in sogno».

Nella commedia rinascimentale, to go-between è fare da mezzano, promovendo la soddisfazione sessuale del, o della, protagonista. Nel romanzo di Hartley da autentico go-between fra due fasi della vita di Leo agisce il diario. L’oggetto reincontrato per caso getta un ponte tra l’al di qua e l’al di là della ferita sessuale apertasi nella mente dell’adolescente e mai sanata. The Go-Between è dunque un titolo che pesca nel profondo, e se proprio lo si doveva tradurre (magari si poteva lasciare l’inglese e aiutarsi semmai con un sottotitolo) era meglio tornare al vecchio Messaggero d’amore già usato per il film di Losey. Perché trasformarlo in quel L’età incerta, che sa di assistenza psicoterapeutica, ed elide, con il sostrato sessuale, anche il senso tragico della vicenda, quasi adducendo a giustificazione l’età immatura del personaggio? (ma la traduzione presenta anche altre di queste «distrazioni»).

La stesura a Venezia
Il passato però non si recupera. «Il passato è una terra straniera. Lì si fanno le cose in maniera diversa». La spiazzante dichiarazione d’apertura – scrive Douglas Brooks-Davies nella sua Introduzione alla recente riedizione del romanzo nei Modern Classics della Penguin – fu a suo tempo molto notata, tanto da divenire quasi proverbiale. Forse perché vi si lesse un riferimento autobiografico da parte dell’autore, il quale nel 1952, quando di getto si era messo a scrivere senza potersi fermare più fino alla fine, si trovava di nuovo a Venezia, sua città d’elezione, dove prima della guerra aveva posseduto una casa e una gondola di proprietà. Verso quel passato ora la scrittura gettava un ponte, ma solo per constatarne l’estraneità.

Molto più che un romanzo della memoria e del ricordo, The Go-Between, quest’opera così significativamente mid-century, sarebbe rimasto un romanzo dell’«io diviso» e del suo faticoso quanto impossibile risanamento. The divided self, famosa opera prima dello psichiatra Ronald Laing, sarebbe uscito solo due anni dopo.