«Molte sono le cose terribili, ma nessuna è più terribile dell’uomo» verrebbe da dire con l’Antigone sofoclea leggendo le esternazioni del premier ucraino Arsenij Jatsenjuk, secondo cui il suo paese sta marciando attivamente sulla via democratica, ma Mosca fa di tutto per mandarlo fuori strada, temendo che le «pericolose idee della libertà contagino anche la Russia». Secondo Jatsenjuk – nei giorni scorsi negli Usa insieme al Ministro delle finanze Natalja Jaresko, in cerca di ulteriori finanziamenti da Congresso e Fmi per acquistare le armi con cui difendere «l’occidente dall’aggressione russa» e per continuare l’assalto al Donbass – «il passato sovietico ha impedito lo sviluppo dell’Ucraina e solo da quando Kiev si è orientata sui valori occidentali, può contare su un radioso sviluppo». Così radioso che anche l’aumento fino a 5-6 volte delle tariffe su elettricità, gas, acqua, decretato dal FMI, secondo Jatsenjuk «agevola lo sviluppo democratico dell’Ucraina».

Nella due giorni statunitense, il duo Jatsenjuk-Jaresko aveva in programma anche un incontro con il Comitato ebreo-americano. Non è ancora nota l’accoglienza riservata dal Comitato al premier di un governo che si regge sui battaglioni neonazisti e innalza a feste nazionali le date di nascita di Ostap Bandera e dell’Upa-Oun che collaborò con le Ss allo sterminio di centinaia di migliaia di soldati sovietici, di cittadini ucraini, polacchi e ebrei.

Una cosa ci sembra fuori dubbio: posta l’astrattezza di ogni concetto aclassista e astorico di democrazia, saranno proprio i golpisti ucraini a dare lezioni di democrazia (quale: ateniese, liberale, sovietica?) alla Russia odierna? Oppure saranno quegli europarlamentari lituani che, a casa loro, ufficializzano le marce dei veterani SS e che ieri a Strasburgo hanno invocato un intervento «urgente per contrastare la politica di aggressione della Russia»?

La democrazia e la libertà del trio Porošenko-Jatsenjuk-Turcinov le stanno sperimentando da oltre un anno i civili del Donbass: quasi 5.600 morti, secondo l’Onu; oltre 50.000 (cifra diffusa a inizio anno e mai smentita) secondo l’intelligence tedesca. Le assaggiano gli abitanti di Donetsk, sottoposti a blocco economico, energetico e assistenziale; i cittadini di Lugansk, condannati al blocco dell’acqua dal rappresentante militare di Kiev Ghennadij Moskal: «agiremo secondo il principio di Ostap Bandera: di sera la luce, al mattino l’acqua».

Le assaporano gli abitanti di Donetsk (ieri è stato colpito un asilo, mentre da giorni i tiri governativi si sono nuovamente concentrati sull’aeroporto), di Gorlovka, Slavjansk, Širokino, sottoposti ai tiri di razzi «Grad» e «Uragan», delle artiglierie da 122 mm riposizionate a ridosso della linea di demarcazione (e fotografate dai satelliti USA), in aperta violazione degli accordi di Minsk. I 7 Grandi «inutili capi del mondo»(Carlyle) vogliono inasprire le sanzioni contro Mosca e cercano un pretesto per motivare la loro scelta? Ecco che il 3 giugno, a ridosso del vertice bavarese, Kiev attacca il fianco ovest di Donetsk e bombarda Marjnka e Krasnogorovka. E da Strasburgo si grida alla «partecipazione diretta e indiretta» della Russia nel conflitto ucraino.

E se i rappresentanti delle Repubbliche di Donetsk e di Lugansk in seno al Gruppo di contatto per gli accordi di Minsk propongono ora modifiche alla Costituzione ucraina (come previsto a Minsk) che prevedano uno status speciale di autogoverno locale per le regioni del Donbass, all’interno e quale parte integrante dell’Ucraina, non pare che Jatsenjuk abbia corretto il suo approccio rispetto a quando diceva che Kiev dialogherà con quei rappresentanti «solo quando saranno dietro le sbarre». Niente stupore quindi che ieri quegli stessi rappresentanti abbiano detto di considerare «la Crimea parte della Russia. Di più: le nostre Repubbliche, idealmente, vorrebbero entrare a far parte della Federazione Russa».

Niente paura: Kiev sembra già pronta ad aprire un nuovo fronte, a occidente. Il leader della Transnistria, Evghenij Ševcuk, ha espresso preoccupazione «per le dichiarazioni di alcune personalità ufficiali ucraine, secondo cui esiste una minaccia di guerra da parte della Transnistria». Secondo l’agenzia Novorossija, da inizio anno Kiev sta rafforzando con fossati anticarro, posti di blocco e valli fortificati la parte di frontiera con la Moldavia che passa per la Transnistria. Questione di tempo.