Una coltre di fumo nero si sprigiona da una sezione del campo di Moria. È l’inferno. Non si conoscono le ragioni precise del rogo, alcuno dicono per un corto circuito, fonti di polizia locale invece dichiarano che è stato appiccato da alcuni migranti in diversi punti all’interno e fuori dal campo. Ma di questo non vi sono certezze. Le condizioni precarie in cui versa tutta la struttura potrebbe essere la causa di questa tragedia. Perdono la vita nell’incendio una donna e un bambino. Anche se voci dal campo dicono di aver visto più cadaveri essere portati via.

UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA considerando il sovraffollamento del campo che dovrebbe ospitare 3 mila persone invece sono più di 10 mila. Durante i momenti drammatici dell’incendio gli stessi migranti hanno cercato di spegnere il fuoco e tentato di estrarre viva una donna da dentro un container. Ma non c’è stato nulla da fare.

«Ho cercato di aiutare una donna ad uscire da un container – racconta Muhammet, siriano – le ho tirato un po’ d’acqua in faccia con la bottiglia, poi l’ho avvolta in una coperta, ho iniziato ad urlare, ma lei era completamente bloccata in stato di shock. Poi il fuoco è aumentato e lei è stata sommersa dalle fiamme».

IN POCHI SECONDI tutto brucia. Molti migranti lamentano e denunciano i ritardi dell’arrivo dei pompieri «nessuno ci ha aiutato» commenta Jacob. Abbandonati, anche questa volta.

Dopo l’incendio è scoppiata una violenta protesta dei migranti, per le terribili condizioni disumane in cui sono costretti a vivere, causando forti scontri con la polizia.

Le forze dell’ordine hanno utilizzato i gas lacrimogeni costringendo buona parte della popolazione del campo a scappare. Molti migranti sono rimasti feriti: «Dopo l’incendio ho sentito almeno tre esplosioni – racconta Jacob – La polizia è entrata anche nella “giungla” – l’assembramento informale di tende allestito fuori dal campo tra gli alberi di ulivo dove vivono circa 3mila persone – e ha picchiato tante persone, tirato lacrimogeni anche dove c’erano donne e bambini» racconta Jacob. La clinica pediatrica di Msf ha aperto in via straordinaria la domenica per poter assistere le persone con problemi respiratori, causati dai gas lacrimogeni e dal fumo del rogo, ma anche i feriti degli scontri con la polizia.

«Siamo sconvolti» commenta Marco Sandrone, capo progetto di Msf Italia sull’isola, e aggiunge « questa è un’orribile tragedia, è la diretta conseguenza delle politiche brutali che stanno continuando ad intrappolare a Lesbo tutti questi migranti. Ogni leader europeo è responsabile di questa situazione disumana che questi migranti stanno vivendo qui a Lesbo e nelle altre isole greche. Adesso hanno la responsabilità di evitare ogni altra morte e sofferenza» e chiede l’evacuazione immediata delle persone e la fine dell’accordo Turchia-Ue.

ACCORDO STIPULATO nel 2016 che prevede il blocco da parte della Turchia dei flussi migratori via mare e via terra verso l’Europa e l’impossibilità, per quelli giunti nelle isole, di poter muoversi dalle stesse.

Quell’accordo che oggi il presidente Erdogan minaccia di voler sciogliere se non arrivano altri fondi dall’Ue per creare una zona cuscinetto tra Turchia e Siria. Moria è quindi una sorta prigione a cielo aperto, dove i migranti sono di fatto in stato di detenzione. Anche se sono liberi di circolare, sono costretti in condizioni degradanti al limite della sopportazione.

UN DRAMMA CHE SI CONSUMA mentre il governo si riunisce per discutere sul nuovo disegno di legge che modifichi le procedure di asilo con l’obiettivo di spostare dalle isole alla penisola circa 10mila migranti. Ma solo quelli che sono idonei allo status di rifugiato, quindi che non possono essere rimpatriati in Turchia, come prevede l’accordo del 2016. Lo chiede il ministro per la Protezione dei cittadini Michalis Chrysochoidis a 13 governatori regionali in un recente incontro per alleviare la pressione sulle isole come Lesbo e Samos ormai al collasso con l’aumento dei migranti in arrivo via mare. Sono circa 24 mila quelli bloccati nelle isole greche di cui circa 13 mila solo a Lesbo. In tutta la Grecia sono circa 70mila per lo più provenienti dall’Afghanistan, dalla Siria e dall’Iraq.

E proprio questi numeri, rivela la stampa greca, in occasione della riunione dei ministri dell’Interno Ue prevista per l’8 ottobre a Lussemburgo, potrebbero spingere Atene a lanciare una nuova iniziativa simile a quella portata avanti da Italia, Malta, Francia e Germania per la ricollocazione dei migranti.