Una piscina pubblica d’estate, l’acqua e sotto il sole i corpi seminudi di adulti e soprattutto bambini che giocano felici tra loro ma sentono anche, come Felix, il turbamento di nuove sensazioni e desideri. Fèlix ha dieci anni ed è il piccolo protagonista di Les démons di Philippe Lesage, regista canadese – del Quebec – al suo secondo film di finzione (dopo quattro documentari) e di recente a Milano per presentare Les démons alle Giornate di cinema quebecchese in Italia, rassegna itinerante che toccherà nel corso del mese di marzo anche Palermo e Firenze (cinemaquebecitalia.com/).

Ambientato nella provincia canadese degli anni Ottanta – lo stesso sobborgo di Montreal in cui il regista è nato e cresciuto – il film racconta attraverso Felix la scoperta della sessualità nell’infanzia, con il suo portato di confusione e senso di colpa, e come riflesso perturbante e non ben comprensibile del mondo degli adulti: il padre di Felix ha forse un’amante, lui e la madre sembrano sul punto di lasciarsi, il fratello parla di omosessualità con gli amici, lo spettro dell’Aids terrorizza anche chi come i bambini non ne afferra bene il senso.

Sono questi i demoni che tormentano Felix, che Lesage fa emergere da lunghi piani sequenza carichi di angoscia, accumulando tensione e l’impressione che qualcosa di terribile stia per accadere, anche se tutto avviene su un piano interiore. Un addio all’infanzia reso dal regista con un misto di nostalgia – cita il saluto ai genitori del finale del Posto delle fragole di Bergman – e di inquietudine, con l’omaggio alle simmetrie e i corridoi geometrici di Shining. A metà film però i demoni prendono forma nella realtà: un compagno di scuola di Fèlix viene rapito, le immagini del bambino scomparso alla televisione moltiplicano i fantasmi che decretano la perdita dell’innocenza del piccolo protagonista, il suo passaggio a una nuova fase più consapevole della vita.

Quello di «Les démons» è un tema universale, come mai è ambientato proprio negli anni Ottanta?
In realtà ho immaginato il film proprio in una sorta di dimensione senza tempo, ma ci sono molti riferimenti agli anni Ottanta per dare forma alla specifica atmosfera che lo pervade. Il motivo per cui ho scelto quegli anni è che Les démons è principalmente autobiografico, basato sulla mia stessa infanzia.

A un certo punto i «demoni» interiori e gli incubi di Felix incontrano quelli del mondo esterno e reale.
Il film riguarda le paure dell’infanzia, ma è soprattutto la storia di un bambino che sta prendendo coscienza della sua sessualità, insieme alla scoperta di quella degli adulti. Molte delle cose che accadono nel film – come il padre di Felix che si incontra con la madre dell’amico, il terrore dell’Aids o il senso di colpa per i giochi sessuali che tutti i bambini fanno – raccontano proprio questo momento di passaggio. Per questo ho pensato che sarebbe stato interessante «rompere» in qualche modo la storia, come accade a metà del racconto e creare un elemento di disagio per lo spettatore con l’arrivo di un personaggio che, oltre a rapire il compagno di scuola di Felix, crea un detour nella progressione narrativa per circa venti minuti. Questo ragazzo pedofilo – forse un bambino intrappolato nel corpo di un uomo – è un’incarnazione estrema della sessualità «sinistra» degli adulti dal punto di vista di un bambino. Inoltre volevo esplorare questo tema perché faceva parte della mia immaginazione: quando ero piccolo nella mia cittadina sono scomparsi dei bambini, scatenando una reazione di terrore e paranoia. Mi interessava questo incontro tra le paure immaginarie dell’infanzia e la possibilità che esista davvero un «mostro» appena dietro l’angolo.                                                                                                                                                          

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In che modo il suo lavoro nel documentario ha influenzato «Les démons»?
Avere a che fare con la realtà mi ha sempre un po’ frustrato, perché non mi consentivo di giocarci, di manipolarla. Come documentarista inoltre mi sono sempre occupato di storie che mi erano estranee, attraverso di esse scoprivo nuovi mondi: ho girato un documentario in un ospedale, un altro a Pechino… Ma passando alla finzione volevo occuparmi di qualcosa di più personale, pur mantenendo una forma di distacco. Per molte sequenze però ho seguito un approccio simile a quello dei miei documentari. Nelle scene ambientate nel cortile della scuola abbiamo lavorato con centinaia di bambini, senza che fossero troppo consapevoli del fatto che stavamo girando un film: non urlavamo azione, filmavamo i nostri attori in mezzo alla folla. Il giardino di una scuola è già di per sé caotico e pieno di vita , e ci siamo limitati a osservare. Un giorno un bambino si è messo a piangere e l’attrice che interpretava la maestra ha cercato di consolarlo: mi piace mettere gli attori in una situazione completamente reale, restando aperto all’inatteso. Non c’è niente di meglio di quando succede qualcosa che non ti aspettavi.

Come ha lavorato invece con il piccolo protagonista, Édouard Tremblay-Grenier?
Ho cercato un ragazzino che assomigliasse a quello che avevo immaginato nella sceneggiatura,e abbiamo fatto il casting a centinaia di bambini per trovare quello giusto, che fosse in grado di recitare in modo molto naturale, spontaneo. Dato che i bambini hanno ovviamente molta esperienza in meno degli attori adulti, per me è stato perfino meglio lavorare con loro rispetto che con gli attori professionisti, con cui faccio più fatica per impedirgli di sovraccaricare il loro modo di recitare.

Il centro gravitazionale del film è una piscina pubblica.
Le riprese sono state fatte nella città in cui sono cresciuto, e lì d’estate,quando ero piccolo il centro di tutte le attività era la piscina, un luogo in cui spesso i bambini sono soli, senza l’accompagnamento e la supervisione degli adulti. È anche un posto che amplifica il turbamento di Felix: tutti sono seminudi, estranei e amici, adulti e bambini.

Un elemento molto importante nel costruire l’atmosfera del film è la musica.
Quando scrivo una sceneggiatura di solito ho già in mente che canzoni e composizioni userò. In Les démons anche l’uso della musica risponde alla necessità di dare forma a una dimensione senza tempo in cui si svolge il racconto: per questo ho scelto musiche che vengono da periodi diversissimi, dalla Passione di San Matteo di Bach a Pata Pata di Miriam Makeba. La colonna sonora originale è stata invece realizzata da un duo elettronico, i Pye Corner Audio, a cui ho fatto ascoltare i compositori di musiche per film che ho amato di più da ragazzo, come Vangelis o Giorgio Moroder.

Attualmente sta lavorando a un nuovo progetto?
Sto preparando un nuovo film, le riprese inizieranno quest’estate. Si chiamerà Genesis : è una storia adolescenziale sull’ amore, in cui esploro la difficoltà di innamorarsi per la prima volta. I protagonisti sono fratello e sorella: entrambi affrontano i loro sentimenti e la presa di coscienza che spesso il primo amore non è rivolto alla persona giusta. C’è una continuità con Les démons: è anche questa una storia di formazione e di esplorazione del mondo della sessualità.