Il mio giudizio sul governo giallo-verde è decisamente critico. Come non essere allarmati? Per l’economia, la società, la democrazia, il buon nome dell’Italia in Europa e nel mondo. A giustificare l’ingiustificabile non bastano errori e malefatte di quelli di prima. Macroscopici i limiti del governo Conte. A cominciare dal suo vizio genetico: il “contratto” tra i due partiti 5Stelle e Lega. A dare senso e prospettiva a un esecutivo ha da essere una visione comune, non un contratto, istituto privatistico, che, per definizione, tradisce più una reciproca diffidenza che non un patto fiduciario; per di più tra partiti manifestamente distanti e, su più punti, opposti (come ha ribadito ieri il presidente della camera Roberto Fico); partiti che avevano giurato agli elettori che mai avrebbero siglato una accordo, con un conseguente, vistoso deficit di legittimazione.

Contraddizioni e ambiguità genetiche che si concretano in un’artificiosa e stravagante “divisione del lavoro” in forza della quale gli uni si occuperebbero di politiche economiche e sociali, gli altri di sicurezza e immigrazione. Un dualismo che, di conseguenza, si concreta non in una sintesi di proposte compatibili, ma nella mera somma di promesse irrealizzabili non foss’altro in quanto – chiarissimamente – non sostenibili sul piano finanziario. Con il sistematico differimento delle rispettive riforme bandiera.

Un rapporto politico asimmetrico a tutto a vantaggio di Salvini che può contare su una identità forte e su due forni (pur scontando tensioni, sia Lega che FI non possono e non vogliono recidere in via definitiva il loro antico legame). Come non bastasse, a fare più complesse le cose, è la presenza di ministri tecnici o istituzionali, che godrebbero del sostegno del Quirinale. Figure pensate e immesse nel governo per rassicurare l’establishment e la comunità internazionale ma, per definizione, prive di peso politico e, al più, dedite alla….”riduzione del danno”. Una semplice copertura istituzionale a un governo circondato da generale diffidenza.

Non mi sfuggono i vistosi limiti dei 5Stelle: una concezione distorta della democrazia (assemblearista a parole, sommamente verticistica nei fatti); un deficit di democrazia interna imperniata su una piattaforma aziendale e un “capo politico” dotato di esorbitanti poteri; una classe dirigente improvvisata e spesso presuntuosa; una rivendicata cesura con il passato che sconfina nella cancellazione della tradizione democratico-repubblicana. Soprattutto un’identità irrisolta e dunque fragile, che li espone facilmente all’egemonia di chi si dispone a interloquire e cooperare.

Anche per questo considerai la pregiudiziale chiusura del Pd un errore, una imperdonabile responsabilità omissiva…. Fare politica implica due cose: lettura lucida e oggettiva, cui fare seguire iniziativa e azione conseguenti. Per motivare la propria programmatica inerzia il Pd ostaggio di Renzi ha fatto l’esatto contrario, operando una lettura superficiale e fuorviante: che Lega e 5Stelle fossero la stessa cosa, e cioè una destra estremista, e che l’accordo tra i due fosse naturale, scontato, già scritto. Le cose hanno preso una certa (cattiva) piega: i 5Stelle, per contagio, hanno subito una qualche subalternità alla ideologia leghista. Ma non era e non è scontato. Lo si poteva evitare. È un caso cui si applica la massima latina: «post hoc ergo propter hoc».

Eppure, nonostante il cemento del potere, motivi di conflitto tra i due partner si sono manifestati più volte e su questioni non di poco momento. Possiamo, a sinistra, essere indifferenti a talune sensibilità e ai punti di (relativa) tenuta dei pentastellati? Su questione morale, lotta ai privilegi, legalità e non giustizia fai da te, contrasto a precarietà e povertà, sostenibilità ambientale, diritti civili, xenofobia, Europa da ripensare su basi nuove. Possiamo ignorare la pur discontinua azione di contenimento dell’estremismo di Salvini e dei suoi?