«Se invece di limitarci a costruire la nostra esistenza, avessimo la follia o la saggezza di danzarla?». Da 26 anni Sarabanda mette in pratica questa domanda. Associazione culturale e terapeutica, sociale e personale, ha formato generazioni di danzatrici e danzaterapeute che hanno portato la danza anche nelle carceri e negli istituti psichiatrici. La storica sede in Ripa di Porta Ticinese è un luogo impastato di emozioni e movimenti che sono diventati parte essenziale delle persone che l’hanno vissuta. Eppure anche questo punto di riferimento per Milano non ci sarà più, costretto a chiudere dopo essere finito nel mirino della Agenzia delle entrate.

«Un giorno – racconta Elena Cerruto, socio-fondatrice di Sarabanda – abbiamo visto entrare due scarpe grigie in sala danza, per noi è un luogo sacro, qui si sta solo scalzi, e invece abbiamo percepito che forse eravamo noi una bestemmia per il sistema». L’Agenzia delle entrate ha valutato imposte, interessi e sanzioni per 140 mila euro, poi dimezzate a 70 mila avendo riconosciuto il valore sociale delle attività. «Siamo costretti a chiudere per aver male interpretato alcune norme fiscali che consentivano agevolazioni solamente a fronte di formalità ben definite, di cui non eravamo a conoscenza. La burocrazia ha prevalso sullo spirito dell’associazione», spiega Valentina Bellinaso, del direttivo. Sarabanda è solo un esempio di una storia che si sta ripetendo sempre più spesso.

Molte associazioni rischiano di essere stritolate da regole non adatte a piccole comunità non finalizzate al guadagno, per ciò stesso eretiche e quindi sospette. Chi lavora in questo mondo spesso lo fa gratis e fa cose il cui valore è altissimo ma difficile da monetizzare. «Se la legalità formale non si accompagna alla giustizia sociale – spiega un esperto del terzo settore – si mortifica chi lavora per passione e non per profitto, oggi le associazioni si devono trasformare in studi commercialisti togliendo energie alla promozione socioculturale e rischiando di subire sanzioni». Il paradosso è che nel paese dove l’evasione è un cancro finisce per pagare chi fornisce servizi che lo Stato è sempre meno in grado di fornire. «È la vendetta del soldo – dice Tania Cristiani di Sarabanda – a cui noi non abbiamo mai voluto dare valore».

Ma la tristezza e la rabbia devono ritrovare lo spazio per trasformarsi. La scuola di formazione è già rinata all’interno di un ente formativo regionale mentre l’associazione continuerà a occuparsi di promozione sociale. Certo la «vendetta del soldo» richiede fondi (info www.associazionesarabanda.it) e il 29 marzo alle 18.30 ci sarà l’ultima serata di tesseramento e distacco dalla sala in Ripa di Porta Ticinese 55. «Non sarà una festa di addio, ma la celebrazione di un momento esistenziale di svolta». La danza continua.