Il giorno dopo le nomine dei sette del Comitato Permanente del Politburo cinese, le azioni di alcune aziende tecnologiche cinesi sono crollate sui mercati finanziari americani. «Over reaction», come si dice in gergo, o Jack Ma e compagnia devono essere davvero preoccupati?

Da una prima lettura della chiusura del Ventesimo congresso il messaggio che arriva dal Partito comunista di Xi Jinping ci descrive una Cina su una china nazionalista, chiusa, sempre più armata e con un Partito-Stato sempre più forte anche nelle dinamiche economiche. E questo preoccupa chi ha investito nelle azioni delle società tech cinesi, già da tempo sottoposte a multe e intoppi da parte del governo centrale. La campagna contro le aziende tecnologiche private porta la firma di Xi Jinping: con un Partito completamente d’accordo con le posizioni di politica interna, economica e internazionale è lecito preoccuparsi. Ma si tratta di un ragionamento di breve termine, giustificato da come è finito il Congresso.

Le nomine al Comitato Permanente, infatti, hanno superato anche le previsioni di chi era convinto che Xi avrebbe preso tutto il banco. Li Qiang, ad esempio, era diventato un rumor insistente nell’ultima settimana, ma nessuno aveva pensato a lui in precedenza. Tanto più come numero due e futuro premier.

Li Qiang è il segretario del Partito di Shanghai ed è un fedelissimo di Xi Jinping. Proprio Xi aveva voluto la sua riconferma a segretario del Partito di Shanghai nonostante il caos che si era creato nella metropoli durante il lockdown, con proteste veementi della cittadinanza contro metodi e organizzazione delle autorità locali. Che Li Qiang possa essere o meno uno “yes man”, nel breve termine conta poco. Conta che è un fedelissimo di Xi che dovrà gestire le questioni economiche (i compiti deputati al premier in Cina) che in teoria richiedono alcuni cambiamenti perché la situazione possa riprendersi.

È lecito dubitare che Li Qiang possa opporsi alla linea tenuta fino ad ora da Xi, contro la quale aveva timidamente opposto un’altra visione l’ex premier Li Keqiang. Come tutti i funzionari cinesi che arrivano ai livelli apicali Li Qiang si dimostrerà certo capace, ma la sua nomina, avvenuta nonostante il disastro della gestione Covid a Shanghai, fa traballare uno degli architravi del metodo di selezione del Partito, cioè la «meritocrazia». Si tratta di uno scossone non da poco. Se poi vediamo agli altri nomi, la fedeltà a Xi è ancora più accentuata.

Zhao Leji rimane dallo scorso comitato permanente, ed è anche lui alleato di Xi, già a capo del dipartimento di disciplina del Partito. Come lui rimane anche Wang Huning ideologo e alleato «politico» di Xi: è lui che ha disegnato la visione politica della nuova era di Xi. Cai Qi, segretario del Partito di Pechino, altro alleato di lungo corso di Xi Jinping, fin dai tempi del Fujian dove hanno lavorato insieme 15 anni. È lui ad avere gestito lo sviluppo di Xiong’an a Pechino.

Quella che nelle intenzioni di Xi deve essere l’esempio degli esempi delle “smart city” con caratteristiche cinesi. Ding Xuexiang, in sostanza è una specie di segretario privato di Xi Jinping. Come ha scritto Neil Thomas, analista per la Cina e il Nordest asiatico presso l’Eurasia Group: «Quello che spicca davvero di Ding Xuexiang è che probabilmente ha trascorso più tempo con Xi Jinping di qualsiasi altro funzionario negli ultimi cinque anni». Prima della chiusura del Covid ha accompagnato Xi ovunque. Li Xi è un altro fedelissimo nonché probabile nuovo «zar della sicurezza», posizione di grande potere in un paese nel quale la campagna anti corruzione – come specificato da Xi nel discorso inaugurale – non finirà mai.

Dunque, dati questi nomi e i loro curriculum, nel breve periodo è lecito non essere ottimisti: ci aspettiamo una Cina più chiusa, più nazionalista, più paranoica e probabilmente sempre più assertiva in campo internazionale. Ma non possiamo non tenere conto quando si parla di Cina, anche del «lungo periodo». E in questo caso le cose potrebbero essere diverse da come le immaginiamo dopo un’analisi frettolosa. Negli ultimi anni, infatti, Xi Jinping ha promosso molti «tecnocrati».

Cheng Li, direttore del John L. Thornton China Center ha scritto che «sotto l’amministrazione Xi i tecnocrati tecnicamente ben formati, politicamente fidati, esperti di affari e con una mentalità globale sono stati visti sempre più come candidati idonei per la leadership del Pcc, quindi queste nuove reclute differiscono profondamente dai loro predecessori tecnocratici vecchio stile».

Ci sono ad esempio il segretario del partito dello Xinjiang Ma Xingrui (1959), il segretario del partito dell’Hunan Zhang Qingwei (1961), il segretario del partito dello Zhejiang Yuan Jiajun (1962), il nuovo ministro dell’Industria e della tecnologia dell’informazione Jin Zhuanglong (1964), il segretario del partito dello Shandong Li Ganjie (1964), il sindaco di Pechino Chen Jining (1964), il segretario del partito di Liaoning Zhang Guoqing (1964) e il segretario del partito dello Shaanxi Liu Guozhong (1962).

Quasi tutti nati negli anni ’60 e dunque cresciuti in un clima politico, ideologico ed economico molto diverso da quello durante il quale è cresciuto Xi Jinping. Si tratta di funzionari che hanno vissuto in pieno l’era delle riforme, delle aperture e delle buone relazioni tra Cina e Stati Uniti. E sanno, per certo, che non è la Cina che si chiude quella che può assicurare il benessere alla sua popolazione.