L’epopea del Moro tra congiure e mecenatismo
Scaffale Maria Nadia Covini firma nuova biografia dedicata a "Ludovico Maria Sforza", per Salerno Editrice
Scaffale Maria Nadia Covini firma nuova biografia dedicata a "Ludovico Maria Sforza", per Salerno Editrice
Lo conosciamo come Ludovico il Moro, con il soprannome datogli a causa del colore scuro dei suoi capelli e della sua carnagione olivastra; «mori», «mauri», erano i termini usati nell’Europa medievale per indicare le persone di origine nordafricana o della Penisola iberica arabo-berbera. Pare che il soprannome gli piacesse, difatti aveva incluso nello stemma araldico e nelle insegne il gelso nero o la testa di moro. E «Moro, Moro» era il grido con il quale era acclamato nella sua Milano. In realtà, non avrebbe dovuto chiamarsi nemmeno «Ludovico»: il padre Francesco I Sforza, Duca di Milano, avrebbe voluto chiamarlo «Charles», nome inviso a buona parte della corte e alla madre, Bianca Maria Visconti.
FU LA VOLONTÀ della donna a prevalere, ma in realtà non si trattava solo di un bisticcio privato. Francesco era legato alla Francia e agli Angiò, sosteneva i Medici a Firenze e il partito guelfo in Italia. Per contro, Bianca Maria, seguendo la tradizione viscontea, era di parte ghibellina e in città faceva da supplente al marito per molte questioni. Lo spiega molto bene Maria Nadia Covini nella nuova biografia dedicata a Ludovico Maria Sforza (Salerno Editrice, pp. 292, euro 26). Era nato il 27 luglio 1452 ed era il secondogenito. Dopo la morte di suo padre nel 1466, Ludovico e suo fratello maggiore Galeazzo assunsero la reggenza del Ducato di Milano per conto del giovane nipote Gian Galeazzo Sforza. Tuttavia, la lotta per il controllo del Ducato portò a conflitti interni tra i membri della famiglia Sforza e a tensioni con altre potenze italiane, come Venezia e Firenze. La storia del Moro è il racconto di una lenta ma inesorabile ascesa al potere, prima all’ombra del fratello poi, dopo la morte di questi, verso l’esautorazione di Gian Galeazzo Sforza fino alla morte del giovane duca e all’acclamazione di Ludovico nel 1494.
È UNA STORIA DI SUCCESSO quella di Ludovico che tuttavia, dopo aver raggiunto il potere, cambiò politica rompendo con la Francia e costituendo una lega con Venezia. Nel frattempo, la scomparsa dell’«ago della bilancia», Lorenzo de’ Medici, il «Magnifico», morto nel 1492, era foriera di rivolgimenti nella politica italiana. La crisi cominciò con la morte di Ferdinando II di Napoli, cui succedeva il figlio Alfonso II. I baroni napoletani della congiura del 1485, che si erano rifugiati in Francia, convinsero il re Carlo VIII a scendere in Italia approfittando della precaria situazione del regno meridionale e a rivendicare l’eredità angioina.
Il Moro, che con la possibilità della discesa del re di Francia aveva sperato di liberarsi dei suoi nemici, fu in realtà il primo a farne le spese, finendo i suoi giorni prigioniero e in esilio. La sintesi non rende giustizia della ricchezza della biografia, costruita su fonti di prima mano, e che si conclude con un bel capitolo dedicato al Ludovico Maria Sforza mecenate delle arti e delle scienze, per le quali fin da giovane aveva mostrato grande passione. È una bella conclusione, quasi a voler comunicare, giustamente, che, se l’Italia politica del Rinascimento significa crisi, in altri campi proprio in questi anni visse un’età felicissima.
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